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Prezzemolo fresco: come conservarlo e utilizzarlo se avanza

Prezzemolo fresco: come conservarlo e utilizzarlo se avanza

Vi sarà capitato almeno una volta nella vita di comprare il prezzemolo fresco, magari al supermercato in vaschetta perché unica modalità disponibile, e, una volta usato per la vostra ricetta, dimenticarvene.

Buttare il prezzemolo perché seccato, come ogni altro cibo, è davvero un peccato.
A volte lo si compra perché ce ne serve una piccola quantità per una ricetta, magari di pesce, e poi non sappiamo più che farne.

Ecco allora il modo per conservare al meglio il prezzemolo fresco e le ricette per utilizzarlo tutto, senza avanzarne o sprecarne neanche un ciuffo.

Come conservare il prezzemolo fresco in frigo

Il modo migliore per conservare il prezzemolo per circa una settimana è avvolgere le estremità dei gambi in un foglio di carta assorbente inumidito. Si può prendere il mazzetto e mettere all’interno di un sacchetto di plastica, tipo quelli per congelare gli alimenti.

Come conservare il prezzemolo fresco fuori frigo

Il modo più facile di conservarlo, se prevediamo di utilizzarlo in pochi giorni è mettere il mazzetto in un vasetto o bicchiere pieno d’acqua e cambiare l’acqua fresca ogni giorno.
Il prezzemolo dev’essere posto in una zona luminosa, ma non alla luce diretta, che potrebbe farlo seccare più rapidamente.

Come conservare il prezzemolo fresco in freezer

Potete tritate il prezzemolo e metterlo in sacchetti per surgelare gli alimenti, oppure mantenere anche le foglie intere. Noi vi suggeriamo però di tritarlo per averlo sempre pronto all’uso per le vostre ricette di pesce, come risotti alla pescatora, primi piatti o secondi!

Un altro metodo sempre da freezer può essere quello di mettere il prezzemolo tritato negli stampini da ghiaccio. Aggiungete un po’ d’acqua e avrete dei cubetti di ghiaccio al prezzemolo comodissimi da usare direttamente per le ricette.

Ricette per utilizzare il prezzemolo fresco e non avanzarlo

Ricetta Polpette di fagioli misti con erbe aromatiche

Ricetta Polpette di fagioli misti con erbe aromatiche

Le polpette di fagioli uniscono la golosità della “pallina” fritta con la ricchezza nutrizionale e il gusto dei fagioli. I legumi sono una risorsa importantissima per la nostra alimentazione, e una ricchezza del nostro territorio, sul quale se ne coltivano tantissime varietà, alcune, come i fagioli dell’occhio, da tempi molto antichi. Perciò abbiamo scelto questa ricetta a base di fagioli misti, ideata da Willi Lapaglia, in arte @ATavolaconWilli, che li ha preparati nella nostra cucina. È stata un’interessante esperienza di condivisione assistere alla realizzazione della sua ricette, durante la quale Willi ci ha raccontato il proprio amore per la tradizione e, nello stesso tempo, per la modernità di New York.

Ricerche frequenti:

Gusto amaro: il gusto più italiano che ci sia

La Cucina Italiana

Il gusto amaro è il gusto che meglio identifica la cucina italiana. Non è l’acido, non è il salato, non è il dolce. Neanche l’umami: è l’amaro, ossia il gusto più divisivo che ci sia. Il gusto individuale riguardo all’amaro è infatti molto personale: c’è chi lo ama e chi lo odia, ma il gusto collettivo degli italiani dice che l’amaro è presente nella nostra cultura da nord a sud. La biodiversità della flora italiana e l’uso tradizionale di erbe spontanee in cucina, ha influenzato il nostro gusto nazionale. Cicoria, radicchio, rucola, carciofi, bergamotti, ma anche l’olio extravergine di oliva e il caffè sono ingredienti tipicamente amari e tipicamente italiani al tempo stesso. Gli amari, i liquori di erbe prodotti dai monaci lungo tutta la penisola, sono poi un concetto così made in Italy che vengono chiamati così anche Oltreoceano, senza tradurre la parola. Eppure se l’amaro ha oggi un valore positivo, non piace a tutti. 

Gusto amaro = pericoloso

Se il gusto dolce è associato a un alimento altamente energetico, e quindi ci piace in modo innato, il gusto amaro è quello che ci segnala piante velenose e cibi indigesti, e quindi ci è naturalmente repellente. I bambini sono disgustati dai sapori amari dalla nascita, non per condizionamenti culturali o esperienza diretta. E gli adulti? Non è solo questione di gusti. Fino a qualche hanno fa si credeva infatti, erroneamente, che i recettori del gusto fossero posizionati sulla lingua a “settori”, e che quindi ci fossero aree specifiche destinate a percepire un sapori diversi. Oggi sappiamo che non è così, che alcune aree sembrano essere più sensibili a certi gusti di altre, ma soprattutto che ogni persona ha una predisposizione personale verso i sapori. C’è chi ha il super gusto

Il super gusto e l’avversione all’amaro

Nel 1994 Linda Bartoshuk della Yale University ha pubblicato uno studio rivoluzionario sull’influenza della genetica sul senso del gusto dopo aver testato numerosi soggetti e la loro capacità di sentire il sapore amaro. Il 50% circa dei soggetti testati era risultato un soggetto con sensibilità media, mentre il 25% un non gustatore e il restante 25% un super gustatore (super-tasters), ossia molto sensibile. Davanti allo stesso sapore, un soggetto medio percepisce un lieve sapore amaro, il non gustatore non percepisce nulla mentre il super gustatore sente l’amaro fortissimo. E questo ovviamente influenza anche i gusti a tavola. Chi è un super gustatore tende a preferire così cibi neutri ed evita sapori troppo dolci, troppo amari e speziati, mentre un non gustatore mangia più o meno tutto, anche se con poca soddisfazione. Se qualcuno quindi sembra avere reazioni esagerate a un boccone di cicoria, o proprio non ne vuole sapere della trevisana, probabilmente dal suo punto di vista sono effettivamente cibi orribili. Donne e bambini sembrano essere maggiormente super gustatori. 

L’amaro nella cucina degli chef

La cucina italiana è una cucina ricca di amarezze, grazie alla grande varietà di erbe spontanee che un tempo erano alla base dell’alimentazione e di ingredienti che sono da secoli oramai coltivati nel nostro Paese. Da fave e cicoria alle orecchiette con le cime di rapa, le ricette amare sono parte della cucina regionale, ma anche gli chef contemporanei si sono interessati di questo sapore controverso, alla ricerca delle radici del gusto italiano e di nuove frontiere gastronomiche. Oggi che il vegetale si fa sempre più largo nei menù, l’amaro diventa poi un gusto con cui confrontarsi. La mente corre ai piatti di Piergiorgio Parini ai tempi dell’Osteria del Povero Diavolo, oggi a quelli di Gianluca Gorini a San Piero In Bagno (FC), di Giuliano Baldessari da Aqua Crua a Barbarano Vicentino (VI) o delle amarezze lagunari del ristorante Venissa sull’isola di Mazzorbo. C’è chi gioca sull’«equilibrio dei contrasti», come direbbe Oldani, e chi invece ingaggia l’ospite in una sfida alla piacevolezza, oltre la comfort zone.

Togliere l’amaro

Per i cuochi di casa la sfida, invece, sembra sempre quella di togliere l’amaro, eliminandone l’eccesso. Le verdure possono essere sbianchite in acqua bollente, lasciate scolare con il sale (come si fa con le melanzane), oppure condite con il limone, l’aceto o abbinate a ingredienti salati, come acciughe o formaggio: tutte soluzioni che ne bilanciano il sapore. È bene però sapere che il sapore è determinato dai polifenoli, benefici elementi in grado di contrastare l’ossidazione dei radicali liberi, che comportano l’invecchiamento cellulare. Mangiarlo, quindi, è meglio.

Amaro: una categoria italiana di liquori, per definizione

L’amaro si può anche bere, anche se ciò non aiuta la salute. Gli amari alle erbe infatti sono diffusissimi in Italia, nazione che ne conta di più al mondo. Il motivo deriva dalla scienza erboristica e dai preparati medicamentosi che venivano realizzati estraendo le essenze delle erbe officinali, erbe aromatiche, radici, fiori, spezie, scorze di frutta, cortecce, miscelando il tutto con alcol. Erano medicinali ante litteram molto diversi da quelli che possiamo immaginare oggi e che non si bevevano per piacere, ma come medicine. Li preparavano i monaci, i farmacisti e chi aveva studi e competenze in materia. Da allora gli amari sono cambiati molto, sono dolci, meno alcolici, ma ancora oggi è giunta sino a noi la credenza (errata) che siano digestivi. Nell’Ottocento questi preparati passano dall’essere medicinali a prodotti da miscelazione in quella che sarà definita la Golden Age dei cocktail americani. In quell’epoca in terra americana patria di bourbon, ma non di vino, gli alcolici sono prevalentemente cocktail, miscelati anche con prodotti italiani. Amari o, in inglese, bitter, fra tutti il Campari. Bandiera del made in Italy nel mondo per eccellenza.

gusto amaro Radicchio in padella

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