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Come nasce una grande bottiglia

Come nasce una grande bottiglia

Una giornata in Umbria, in compagnia dell’enologo di una tenuta «d’artista», dove capiamo che per fare la differenza tra un vino buono e uno no bisogna saper immaginare il futuro

Perché ci sono vini che costano più di altri? E perché alcuni sono messi in vendita a pochi mesi dalla vendemmia, mentre molti rimangono nelle botti per anni? L’ho chiesto a Luca Capaldini, responsabile di cantina e di campagna della Tenuta di Castelbuono, l’azienda umbra che la famiglia Lunelli ha acquistato nel 2001. In risposta, ho ricevuto un invito al Carapace, la cantina-scultura realizzata da Arnaldo Pomodoro.

Lo raggiungo in una calda giornata autunnale e rimango a bocca aperta davanti alle vigne di sagrantino, che in questo periodo dell’anno cominciano a tingersi di rosso. «Qui produciamo quattro vini, il Montefalco Rosso Ziggurat, il Montefalco Rosso Riserva Lampante, il Montefalco Sagrantino Passito e il Montefalco Sagrantino Carapace, il vino più importante, simbolo dell’Umbria vinicola», esordisce Luca. «Il lavoro comincia in campagna, dove gestiamo i vigneti in regime biologico e dove durante la vendemmia avviene una prima selezione dei grappoli; facciamo una seconda cernita, su appositi tavoli, anche in cantina, così da essere sicuri di pigiare solo uva perfettamente sana e con il grado di maturità desiderata e, infine, una terza selezione con una macchina che è in grado di individuare e di eliminare singoli acini rovinati, eventualmente sfuggiti ai precedenti controlli». Le uve per il Sagrantino crescono in due vigneti, uno a Bevagna, intorno all’azienda, e uno a Montefalco; gli appezzamenti hanno caratteristiche diverse per suoli ed esposizione e, dunque, anche periodi diversi di maturazione dei frutti. «Questo ci permette di avere un vino con maggiore complessità, visto che le uve apportano differenti sfumature di aromi e di sapore, e sempre di qualità, anche in annate difficili dal punto di vista climatico», sottolinea Capaldini. Dopo la selezione e la diraspatura (la separazione degli acini dal graspo) tutto è pronto per la pigiatura.

Foto di Jacopo Salvi

Niente fretta

Seguo Luca lungo una scala elicoidale che ci porta nel cuore produttivo del Carapace (la struttura esterna sembra davvero il guscio di una gigantesca testuggine), dove si alternano piccole botti di legno, tini troncoconici, qualche recipiente in terracotta e molti serbatoi di acciaio. E qui scopro che la ricetta per fare un grande vino non prevede soltanto grappoli di qualità eccellente. «Pigiando le uve si ottiene il mosto, che viene lasciato a contatto con le bucce per circa venti giorni, in modo che queste possano cedere le sostanze coloranti e alcune sensazioni gustative; per questa operazione utilizziamo recipienti di differenti materiali, come l’acciaio, il legno e la terracotta, che danno al vino caratteristiche diverse», sottolinea Capaldini. «L’acciaio ne preserva la freschezza, il legno ne favorisce l’ossigenazione e rilascia alcuni sentori, come le anfore, che ampliano il bouquet aromatico con profumi di spezie e di argilla». Terminato il processo della vinificazione, comincia quello dell’affinamento. Il disciplinare di produzione del Sagrantino di Montefalco prevede un invecchiamento in botti di almeno dodici mesi, «ma noi lo lasciamo per circa due anni, in contenitori di diversa capacità e realizzati con legni diversi. Abbiamo tonneaux da 500 litri, fatti con il rovere delle foreste francesi di Allier, e botti da 30 ettolitri, realizzate in Austria e in Italia; anche in questo caso i diversi legni e le differenti capacità delle botti concorrono a creare una maggiore complessità finale. «L’uva sagrantino è generosa e dà vini potenti, capaci di evolversi per molti anni, ma che hanno bisogno di tempo per ingentilirsi: una lunga sosta nelle botti di legno è fondamentale per fare un grande vino, non bisogna avere fretta», dice Luca.

Al punto cruciale

Come quando un cuoco crea un nuovo piatto, mescolando i sapori, bilanciando il salato con il dolce, aggiungendo un tocco di amaro o di acidità rinfrescante, così l’enologo assaggia il contenuto dalle tante botti e recipienti che ha a disposizione e decide come realizzare il «taglio finale» del vino che andrà poi in bottiglia. «È il momento più creativo del mio lavoro», spiega Luca mentre ci sediamo a un tavolo ingombro di bottigliette, misurini, pipette e fogli per gli appunti. «Non devi solo pensare alla piacevolezza immediata», mi avverte. «Per creare un grande vino bisogna essere capaci di guardare al futuro, occorre sapere che alcune asperità che si avvertono oggi, spariranno dopo che il vino avrà riposato ancora in bottiglia». Osservo l’enologo al lavoro, apro anch’io qualche bottiglia, prima annuso e poi assaggio il contenuto; prelevo piccoli campioni qua e là e li mescolo; assaggio di nuovo, annoto su un foglio quanti centilitri ho usato di ciascuna bottiglia e le sensazioni che mi vengono in mente. «Dopo che abbiamo scelto il nostro taglio finale, si scende in cantina, si applicano le proporzioni annotate a tutta la massa del vino e infine si imbottiglia». Sarà il tempo a concludere il lavoro.

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