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Mela e longevità: come usare in cucina il frutto della salute

La Cucina Italiana

Proprio come i vini, nel ricettario di Mela Val Venosta, ogni varietà di mela è abbinata ad altri ingredienti sia per potenziarne gli effetti nutrizionali, sia per esaltarne il sapore. Tanto per cominciare, come aperitivo, troverete la ricetta di un infuso di tè verde e mela Pinova, che si caratterizza per note floreali e un equilibrio di dolcezza e acidità. Perché sono stati messi insieme? «La mela consente di assorbire il 100% di epigallocatechina del tè verde, un importante polifenolo, il cuo assorbimento invece si riduce sensibilmente se il tè si abbina, come spesso si fa, al latte» spiega la dottoressa Manzi.

Come usare le mele per ridurre gli zuccheri

Come antipasto, poi, c’è una caponata con carciofi, sedano, pomodoro e mele Red Delicious, usate in questo mix perché con la propria tipica dolcezza bilanciano perfettamente gli ingredienti della ricetta che altrimenti in genere richiede l’utilizzo dello zucchero. Altra idea? Tra i piatti del menù, provato per voi a Bologna nel ristorante della dottoressa Manzi, abbiamo apprezzato particolarmente il riso nero nero con mela Granny Smith e nocciole, in un abbinamento amico del cuore che unisce la protezione antiossidante della vitamina E delle nocciole al potassio della mela.

A cosa abbinare le mele nei piatti salati

«La mela è il cibo della salute, un superfood, e con i giusti abbinamenti se ne possono potenziare gli effetti» spiega la dottoressa Manzi. «In generale suggerisco di accompagnarla ad altri cibi amici del cuore come il pesce e la frutta secca. Sono ricchi di grassi buoni e combinati al potassio e alla pectina della mela sono un mix decisamente vincente». La glicemia? «La mela, come tutti i frutti, contiene zucchero, ma in quantità ben miscelata con fibre e acqua. Mangiata fresca, in piccole quantità, non provoca picchi. Inoltre, con i giusti abbinamenti, aiuta anche a ridurre l’assorbimento».

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Ugly cake – Ricetta di Misya

Ugly cake

Innanzitutto preparate il pan di Spagna: separate tuorli e albumi e montate questi ultimi a neve ben ferma.

Montate i tuorli con l’acqua bollente, poi unite zucchero e buccia di limone grattugiata, sempre continuando a montare.

Poi incorporate farina e lievito setacciati e infine anche gli albumi, mescolando delicatamente con movimenti dal basso verso l’alto, per non farli smontare.

Versate il composto nello stampo imburrato e infarinato e cuocete per circa 40 minuti in forno statico preriscaldato a 180°C.
Una volta cotto sfornate e lasciate intiepidire, poi sformate e lasciate raffreddare completamente su di una gratella, meglio se a testa in giù (in questo modo avrete la base, più liscia, come superficie superiore da decorare).

Preparate quindi la crema pasticciera: scaldate il latte con la buccia di limone.

Montate i tuorli con lo zucchero.

Incorporate nei tuorli farina e vaniglia.

Unite quindi il latte filtrato, rimettete sul fuoco e cuocete a fiamma bassa, mescolando costantemente, fino ad ottenere una crema densa.

Trasferite in una ciotola, coprite con pellicola a contatto, in modo che non si crei pellicola da ossidazione sulla superficie, e lasciate raffreddare completamente.

Preparate ora la bagna: mettete acqua, zucchero e buccia di limone in un pentolino, portate a ebollizione e lasciate cuocere per pochi minuti (finché lo zucchero non sarà completamente sciolto), quindi lasciate raffreddare e infine togliete la buccia.

Infine preparate anche il frosting: montate la panna ben fredda di frigo.

Lavorate il formaggio con lo zucchero, poi incorporate anche la panna, delicatamente, in modo da non farla smontare.

Prendete 2-3 cucchiai di frosting, metteteli in una ciotola e uniteci il colorante alimentare scelto per la scritta (io ho usato il giallo).

Prendete altri 3-4 cucchiai di frosting e teneteli da parte per la decorazione a ciuffetti (io l’ho lasciato bianco, ma se volete potete colorare anche questo, preferibilmente con un colore diverso).

Infine colorate il frosting restante, quello che vi servirà per glassare la torta (io l’ho fatto rosa, in perfetto stile misyano).

Tagliate il pan di Spagna ormai freddo a metà orizzontalmente.
Disponete il disco da usare come base su di un piatto da portata, bagnatelo con metà della bagna e farcite con tutta la crema pasticcera, poi coprite con il secondo disco e bagnate anche questo.

Ricoprite interamente con il frosting rosa, livellando la superficie con una spatola, poi create la scritta con il frosting giallo (aiutandovi con una sac-à-poche con il beccuccio liscio e sottile) e infine create i ciuffetti decorativi con il frosting bianco (con una sac-à-poche dal beccuccio a stella).

Ed ecco qua, la vostra ugly cake è pronta per essere servita.


Martedì grasso: perché si chiama così?

La Cucina Italiana

Ci siamo, è Carnevale: il 13 febbraio è martedì grasso. Si festeggia in maschera, e – per noi adulti – si festeggia soprattutto a tavola, con piatti tipici diversi da regione a regione. In Campania con le lasagne con le polpettine, in Piemonte con la fagiolata, e poi moltissimi dolci, dalle chiacchiere alle frittelle in ogni versione possibile: a Venezia le fritole (insieme ai i “mammalucchi”), in Abruzzo i mignozzi. Capitolo a parte meritano poi i piatti a base di maiale, dalle carni alla brace ai fritti (ancora!) passando per i salumi: il periodo del carnevale, del resto coincide con quello del macello.

Come mai si chiama “martedì grasso”?

Facile allora intuire l’origine del nome: se si chiama “martedì grasso” è perché c’è una ragione gastronomica. Ma non solo. Quello che forse non tutti sanno, infatti, è che c’è anche un motivo preciso che “giustifica” tanti eccessi, e in fondo non è solo religioso. Festeggiare (anche) mangiando pietanze così ricche e importanti è una tradizione millenaria, che risale all’antica Roma e all’antica Grecia. Sono in tanti infatti a ritenere che il Carnevale tragga origine dai Saturnali e dalle feste dionisiache: ricorrenze in cui si ballava, si cantava, ci si mascherava perché ognuno potesse essere almeno per un giorno chiunque altro, e soprattutto si mangiava. O meglio: tutti potevano mangiare, senza distinzioni di classi sociali.

Una tradizione ripresa poi dal cattolicesimo (come tante altre feste di derivazione pagana, del resto), e “ufficializzata” come Carnevale intorno al 1400. Le prime testimonianze dell’uso della parola “carnevale” vengono dai testi del giullare Matazone da Caligano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi. Inoltre la parola stessa la dice lunga su quanto la festa sia stata poi legata dalla religione al cibo: deriva dal latino “carnem levare”e cioè “eliminare la carne,” proprio perché dopo questo periodo di bagordi comincia il digiuno della Quaresima. Insomma, il martedì grasso non è altro che l’ultimo giorno di abbuffate.

Perché si dice giovedì grasso

Per il cattolicesimo, infatti, nei quaranta giorni che precedono la Pasqua – escluse le domeniche – va bandita la carne (nell’interpretazione più ortodossa anche qualsiasi altro cibo possa essere considerato un peccato di gola). Ecco perché prima del Mercoledì delle Ceneri è “concesso” esagerare. In particolare si comincia dall’ultimo giovedì del periodo di carnevale, il “giovedì grasso”: anche in questo caso l’origine del nome è dunque legata alla tavola. Del resto, oltre al fatto che dal giovedì cominciano in tante città le sfilate dei carri, ci sono anche usanze gastronomiche specifiche legate esclusivamente alla giornata: a Catania, per esempio, si mangia la pasta che cincu puttusa”, ossia la pasta con cinque buchi (che è un formato molto particolare, conditi con del sugo di pomodoro), mentre a Firenze si mangia il berlingozzo, dolce da forno a forma di ciambella.

Perché martedì e giovedì grasso cadono sempre in giorni diversi

Se ogni anno si festeggiamo il carnevale in giorni diversi è perché a dettare il calendario è sempre la Pasqua, che ogni anno – come previsto dal decreto del Concilio di Nicea nel 325 d.C – si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’equinozio di primavera, in un intervallo di tempo che va dalla seconda metà di marzo (il 22) alla seconda metà di aprile (il 25). Stabilita la domenica di Pasqua, si conta all’indietro di 46 giorni (escludendo le domeniche, in cui come già scritto, non è previsto digiuno), fino ad arrivare al Mercoledì delle Ceneri. Il giorno prima è dunque il Martedì grasso, Carnevale.

Perché a Milano il carnevale finisce più tardi

Così dappertutto, fuorché a Milano, dove il carnevale si festeggia per quattro giorni in più, fino al sabato (“grasso”, anche quello). Secondo la leggenda è così da quando il vescovo Ambrogio, a Roma per un pellegrinaggio, chiese ai fedeli di aspettare il suo ritorno per dare il via alle celebrazioni della Quaresima. Altra leggenda invece dice che il vescovo chiese al Papa di poter allungare il Carnevale includendo nel conto dei 40 giorni anche le domeniche: insomma, un modo per festeggiare un po’ di più.

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