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Cuori intrecciati di pasta sfoglia

Cuori intrecciati di pasta sfoglia

Iniziamo dai cuori di sfoglia salati: srotolate il rotolo di pasta sfoglia e farcitene metà con lo speck, quindi ripiegate l’altra metà sulla farcitura.
Con un coltello a lama liscia o una rotella tagliapizza ricavate delle strisce large circa 1 cm partendo dall’estremità in cui la sfoglia è piegata.
Attorcigliate ogni striscia su se stessa per creare un torciglione (non una girella).

Ripiegate i torciglioni a forma di cuore e fissateli con degli stuzzicadenti, quindi disponeteli sulla teglia rivestita di carta forno, un po’ distanziati tra loro, e spennellateli con il tuorlo leggermente sbattuto.

Passiamo ai cuori di sfoglia dolci: stesso procedimento, ma con la marmellata al posto dello speck.
Quindi: srotolate la sfoglia, spennellate la marmellata su metà di essa, ripiegate la sfoglia per ricoprire la farcitura; ritagliate le strisce, attorcigliatele e ricavate i cuori; usate gli stuzzicadenti, disponete sulla teglia e spennellate con il tuorlo.

In entrambi i casi, cuocete per circa 10 minuti o fino a doratura in forno statico preriscaldato a 200°C, quindi lasciate intiepidire ed eliminate gli stuzzicadenti.

I cuori intrecciati di pasta sfoglia dolci sono pronti, lasciateli raffreddare e serviteli con abbondante zucchero a velo.

I cuori intrecciati di pasta sfoglia dolci sono pronti, potete servirli tiepidi o anche freddi.

 

Pit’sa a Bergamo, dove la pizza è sostenibile e inclusiva

La Cucina Italiana

Sono 7, accolgono i clienti, apparecchiano la tavola, danno consigli sul menù. I ragazzi con la sindrome di Down che lavorano da Pit’sa, la nuova pizzeria di Bergamo, hanno dai 18 ai 25 anni e sono un vero punto di forza per il locale. I clienti apprezzano la solerzia e la cordialità di cui arricchiscono il servizio, e seguono i loro suggerimenti appassionati su quale pizza scegliere. 

L’imprenditore Giovanni Nicolussi è stato lungimirante, quando ha deciso di fondare Pit’sa, nonostante molti cercassero di dissuaderlo dal suo progetto: a un mese dall’apertura, il locale fa sempre il «pienone», e le recensioni sono a 5 stelle. Un risultato eccezionale, soprattutto perché le pizze di Pit’sa sono realizzate con materie prime sostenibili e solo di origine vegetale, ottenute da agricoltura genuina e non da allevamenti intensivi. Giovanni ci confida le due grandi motivazioni che lo hanno incoraggiato.

Intervista a Giovanni Nicolussi di Pit’sa

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a portare avanti questo progetto?
«Ho un fratello disabile al 100%, e lo zio di mia moglie ha la sindrome di Down: forse anche per questo motivo sono particolarmente sensibile all’inclusività. Inoltre, alla mia mamma, cinque anni fa, è stato diagnosticato un brutto male, per cui ha dovuto immediatamente escludere dalla sua alimentazione la carne e i derivati. A lei piaceva tanto la pizza crudo e burrata. Grazie a consulenze particolarmente efficaci, abbiamo messo a punto delle pizze molto appaganti, anche e soprattutto per chi è abituato a mangiare carne, e tra l’altro anche super digeribili».

Come avete contattato i ragazzi interessati a lavorare per Pit’sa?
«Pit’sa è stata supportata dall’associazione CoorDown che, con il programma Hiring Chain e la sua piattaforma online, ha già creato l’opportunità di numerose assunzioni e tirocini per giovani e adulti con sindrome di Down in Italia e nel mondo. Gli inserimenti nella nostra pizzeria sono stati seguiti dall’associazione Aipd di Bergamo».

Come sono stati formati questi ragazzi?
«Prima dell’apertura del locale, hanno seguito corsi di formazione sulla ristorazione, sull’accoglienza, sulla preparazione dei tavoli, sul servizio. Sono ragazzi preparati e sempre più autonomi. E, sia chiaro, questa è un’azienda profit: sono soprattutto loro che aiutano noi fornendoci il loro lavoro. Poi, sicuramente, grazie a questa esperienza di lavoro, realizzano uno stile di vita sempre più autonomo: il nostro Paolo, ad esempio, arriva in autobus, si cambia, prova molta soddisfazione nel rapportarsi ai clienti e ha sempre meno bisogno di aiuto. Il segnale che vogliamo dare è che questi ragazzi possono lavorare tranquillamente e con profitto, in ambienti non ghettizzanti».

Ricerche frequenti:

Mai assaggiato kebab vegetale? | La Cucina Italiana

Mai assaggiato kebab vegetale? | La Cucina Italiana

Mai provato il kebab vegetale? Abbiamo assaggiato per voi un ingrediente che ormai per molti non è più avanguardia ma quotidiana realtà, soprattutto tra gli under 30: la ‘carne vegetale’. E se il termine vi fa scorrere un brivido lungo la schiena, ricredetevi: questo è il futuro, ed è davvero deliziosamente sorprendente.

La storia che raccontiamo è quella di Planted, ex start up oggi un caso (anche finanziario, visto il successo commerciale) tra le varie proposte plant-based intorno a voi. Magari la conoscerete già, soprattutto se scrollate religiosamente le vostre app-delivery preferite.

Molte catene infatti, come KebHouze e I Love Poke, propongono piatti con carni vegetali proprio succulente. Il comune denominatore è Planted, ormai numero uno in Europa per commercio e sviluppo di carne vegetale gustosa, saporita per ricettazione e proposta visiva molto simile a quella animale. Il risultato al palato è davvero interessante.

Come funziona? L’azienda  acquista farine vegetali provenienti da diversi fornitori europei di legumi, semi e cereali. Nel loro quartier generale a Kemptthal vicino a Zurigo, all’interno di una serra di vetro, veicolo di trasparenza e correttezza, Planted trasforma le materie prime in un impasto a fibra allungata, aggiungendo acqua calda, vitamina B2 e olio di canola. Questo viene successivamente tagliato in macchina a seconda della forma di prodotto che si vuole ottenere.

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