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Tofu in padella: come cucinarlo

La Cucina Italiana

Il tofu è un alimento prezioso. Senza contare che preparando il tofu in padella si può avere un secondo piatto sano in men che non si dica. Il tofu, ottenuto dalla cagliatura del latte di soia, è considerato una sorta di “formaggio” vegetale. Di origine orientale e protagonista dell’alimentazione vegana, è un alimento ricco di proteine e poco calorico, contiene pochi grassi ed è privo di colesterolo.

Il suo sapore piuttosto neutro lo rende un ingrediente versatile e adatto a numerose ricette. Si può gustare quasi crudo, cioè fatto sbollentare solo per qualche minuto e marinato con olio e erbe per ammorbidirlo ed eliminare la nota amarognola. Si può frullare per preparare polpette, burger, creme, zuppe. E si può cuocere in padella: vediamo come.

Tofu in padella: come farlo bene

Per la cottura ottimale del tofu in padella, scolate il panetto dall’acqua in cui è immerso quando lo acquistate, tamponatelo con carta assorbente e tagliatelo a fettine o a cubetti.

Prima di procedere alla cottura del tofu, l’ideale è marinarlo per una quindicina di minuti: si può fare con un’emulsione a base di salsa di soia o con dell’olio extravergine d’oliva aggiungendo erbe (rosmarino, erba cipollina) e spezie (curry, curcuma, peperoncino) o, ancora, con il succo degli agrumi e un pizzico di zenzero, per esempio.

Trascorso il tempo di marinatura, basterà cuocere il tofu in una padella antiaderente leggermente unta, un minuto per lato a fiamma media, fino a doratura.

Tofu saltato in padella

Per un piatto completo si può tagliare il tofu a cubetti e farlo saltare con delle verdure come pomodorini, peperoni, broccoli, erbette, zucchine, carote, cime di rapa, aggiungendo sempre un condimento come l’olio extravergine d’oliva, la salsa di soia o l’aceto balsamico. Il tocco in più? Una nota croccante che si può ottenere, ad esempio, con dei semi di sesamo o degli anacardi.

Tofu fritto in padella

Se cercate una preparazione più golosa, il tofu si può anche friggere. Impanate le fettine o i cubetti in una pastella di acqua e farina (a cui potete aggiungere anche delle erbe e delle spezie per dare più gusto) e friggete in olio bollente. Se non siete vegani potete anche utilizzare per la panatura uova e pangrattato.

Le nostre ricette con il tofu

Sfogliate la gallery per scoprire le nostre ricette per cucinare il tofu, in padella e non solo!

Il pollo alla Marengo in 2 ricette, tradizionale e moderna

La Cucina Italiana

Preparato il giorno dell’omonima battaglia, il pollo alla Marengo è diventato anch’esso una leggenda. Eccolo, in chiave meno «bellicosa» e più armoniosa, in ben due ricette di secondo piatto: tradizionale e moderna. Ma prima scopriamo la storia di questo leggendario piatto, che piace ancora oggi.

La storia del pollo alla Marengo

Napoleone non era un grande buongustaio, dedicava al cibo solo il tempo indispensabile, mangiava di fretta e mai prima delle battaglie. Era affamato, perciò, nel pomeriggio del 14 giugno 1800, dopo la più importante vittoria della sua vita, a Marengo. Un trionfo quasi insperato contro l’esercito austriaco, che riuscì a battere con un contrattacco reso possibile dall’arrivo del generale Desaix, con truppe fresche. Un momento cruciale nella storia d’Europa, che ha reso famosa la cittadina di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, e glorioso Napoleone. Che, finalmente tornato dai campi di combattimento, chiese al suo cuoco Dunand qualcosa da mangiare. Questi mandò i suoi cucinieri a cercare ingredienti nelle cascine vicine; non ebbe poi il tempo per pensare a un piatto ben congegnato con quello che gli portarono, e così mise insieme pollastro, pomodori, uova, funghi, gamberi di fiume, li spruzzò con limone e un po’ di Cognac, e presentò il suo piatto. Il successo fu immediato e definitivo: da allora quello che venne subito battezzato «pollo alla Marengo» diventò intoccabile.

Dunand provò in seguito a modificarne la ricetta, presentando versioni più congrue a Napoleone. Ma ogni tentativo fu mandato indietro: il generale, superstizioso, pretendeva che fosse sempre preparato nello stesso identico modo del giorno della battaglia. Non tutte le fonti concordano sulla «formula» originaria. Lo storico Massimo Alberini, per esempio, sostiene che fosse molto più semplice, solo pollo saltato con olio, vino bianco e prezzemolo: Artusi, per esempio, ne presenta una versione senza pomodori, gamberi e funghi, che sembrano essere aggiunte successive. Ma proprio come la battaglia di Marengo, anche questa ricetta ha un che di leggendario.

«…fu chiamato Pollo alla Marengo; e si dice che esso fu poi sempre nelle grazie di Napoleone, se non pel merito suo, ma perché gli rammentava quella gloriosa vittoria». PELLEGRINO ARTUSI

Due versioni tra tradizione e modernità

La proponiamo in una delle classiche versioni giunte fino a noi e in una rielaborazione più leggera e armoniosa: solo il petto del pollo, arrostito anziché in umido, accompagnato con una salsa preparata con una passata e le teste dei crostacei, a mo’ di bisque. Scegliamo gli scampi, simili per delicatezza ai gamberi di fiume, ma più facili da trovare, e lasciamo i funghi crudi. Il crostone con l’uovo fritto, invece, diventa un crostino appena spennellato di uovo, rosolato in padella.

Pollo alla Marengo – ricetta tradizionale

Ingredienti per 6 persone

  • 1,2 kg di petto di pollo
  • 500 g pomodori perini
  • 150 g funghi champignon puliti
  • 6 uova
  • 6 code di gambero farina
  • aglio
  • limone
  • pane casareccio
  • burro
  • prezzemolo tritato
  • vino bianco secco
  • sale
  • olio extravergine di oliva

Farina bòna: tutto sull’ingrediente “difficile” di MasterChef 13

La Cucina Italiana

Che cos’è la farina bòna? Come si usa? Ieri sera, a MasterChef, i concorrenti, nella Golden Mystery Box, hanno trovato un assortimento di ingredienti di colore giallo: oltre a formaggio cheddar, finferli, senape, mela gialla, curcuma, maracuja e petit pâtisson (o zucchina patissone), c’era anche la farina bòna. Dal momento che è ancora poco conosciuta, però, gli aspiranti chef in gara non sapevano bene come poterla utilizzare.

Che cos’è la farina bòna?

In effetti, la farina bona – un prodotto tradizionale della Valle Onsernone, una delle più impervie del Canton Ticino, a pochi chilometri da Locarno – per qualche decennio è rimasta nel dimenticatoio. Fino a quando Ilario Garbani Marcantini, maestro di scuola elementare a Intragna, insieme al Museo Onsernonese, ha riscoperto e valorizzato questa preziosa farina di granoturco, che si ottiene macinando molto finemente la granella tostata.

La sua storia

Si racconta che la prima a produrla fu una mugnaia di Vergeletto di nome Annunziata Terribilini, detta Nunzia, che faceva con il mais (lo stesso che viene utilizzato per la produzione di polenta, proveniente dal Piano di Magadino) quello che, tradizionalmente, si faceva con la segale: una bella tostatura in una padella fino a fare scoppiare i chicchi, che poi macinava finemente per ottenere una farina dal gusto unico. La farina bona si caratterizza anche per il tipo di macinatura, molto fine, grazie all’impiego di macine speciali, lisce, come quelle dei mulini, ormai in rovina, di Vergeletto.

Un tempo, la farina bòna faceva parte dell’alimentazione degli onsernonesi, che la consumavano accompagnata a latte, freddo o caldo, acqua o vino, o sotto forma di minestra, la poltina. Ma il cambiamento delle abitudini alimentari del secondo Dopoguerra ha ridotto progressivamente la presenza di questo ingrediente. Alla fine degli anni ’60, anche l’ultimo mugnaio onsernonese ha lasciato il suo lavoro, e della farina bona non si è più parlato per tanto tempo. Solo nel 1991 e nel 2013 sono stati riavviati i mulini di Loco e Vergeletto, che hanno ripreso a macinarla.

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