Tag: tendenza

Fuori carta: i piatti del giorno diventano di tendenza

La Cucina Italiana

«Oltre il menù oggi abbiamo anche… » è al frase che più ci si sente ripetere nelle trattorie e nei ristoranti più alla moda di Milano e non solo. Quale sarebbe la novità? Un tempo si chiamava semplicemente menù del giorno, veniva scritto su una lavagna o il cameriere te lo recitava a voce con il blocchetto in mano pronto a prendere l’ordinazione. Oggi si chiamano fuori carta e la loro diffusione sistematica fotografa una nuova tendenza.

L’invenzione del menù

Il menù come lo intendiamo oggi in carta stampata nasce per le cene di gala o i ricevimenti ed elencava i piatti che sarebbero stati serviti durante la cena. La lista fra cui poter scegliere si diffonde successivamente con l’avvento dei ristoranti, nei luoghi eleganti e negli hotel. Il primo menù scritto in lingua italiana viene datato 1911, quando i Savoia adottarono l’italiano come lingua ufficiale di Corte, per descrivere piatti che restavano quelli della grande cucina francese. Nelle trattorie il menù non esisteva proprio, ogni giorno si cucinava quello che offriva il mercato e si seguiva una certa cadenza: giovedì gnocchi, venerdì di magro, e una serie di ricette della casa che si susseguivano con variazioni stagionali. La scelta era poca o nulla, l’innovazione limitata, e a tavola veniva servito sostanzialmente un grande repertorio di classici a rotazione. Più il locale era elegante, più il menù era elaborato e la descrizione dei piatti sontuosa, nei posti più popolari lo si trovava al massimo scritto a mano o affisso al muro, con a fianco il prezzo.

Classici e piatti del giorno 

La possibilità di programmare la spesa, la continuità e l’abbondanza delle forniture, le moderne tecniche di conservazione hanno permesso ai ristoratori via via di standardizzare, e di creare una lista di piatti imprescindibili, immutati al variare delle stagioni. Ai clienti il benessere economico permette di scegliere, di variare, di guardare al cibo come piacere e non solo come a mero nutrimento. Anche i menù così si evolvono, da una parte i grandi classici, i cavalli di battaglia, le specialità del locale stampati nero su bianco e plastificati per durare; dall’altra i fuori carta, qualcosa di semplice, per accontentare i clienti abituali, o da aggiungere al resto del menù all’arrivo dei carciofi, dei fiori di zucca e giusto di qualche primizia. Normale, è così in buona parte dei ristoranti di tradizione, dove ancora oggi il menù cambia ben poco. Ma molto diversa è oramai la ristorazione contemporanea.

I fuori carta

Nei ristoranti di nuova generazione la lezione della cuisine du marché, fresca ed estemporanea ha oramai imposto l’idea che il menù debba cambiare almeno quattro volte l’anno: i piatti mutano, più o meno spesso a seconda del locale, una volta a stagione nei ristorati di alta cucina, e molto più spesso, anche tutti i giorni, nelle trattorie moderne e nei bistrot. Si è “tornati indietro” alle buone abitudini di sempre, ma nonostante questo proprio lì i fuori carta sono tornati di moda.
Potrebbero essere inseriti, visto che il menù cambia spesso? Nì. Spesso sono piatti più “difficili”, solo per palati arditi e che quindi è meglio proporre solo a chi si conosce bene, a volte se ne hanno davvero poche porzioni. Ma soprattutto fa parte dell’esperienza: quando si esce a cena si vuole assaggiare qualcosa di eccezionale, di unico, che faccia sentire speciali. Da postare sui social (con gli hashtag #fuoricarta #fuorimenu), da raccontare agli amici, i fuori carta diventano al pari dei signature dish degli strumenti di comunicazione.

Fuori carta è bello

La Trattoria Trippa ha rinominato Fuori Carta la serie di appuntamenti con chef ospiti che si avvicendano nelle loro cucine per una sera, ma i fuori carta li serve correntemente ad amici e a chi sceglie l’ambito posto al posto al bancone. Stessa cosa da Frangente dove lo chef Filippo Sisti offre a mezza voce le oramai famose Tagliatelle al ragù o i Tortellini. Fuori carta, ma ordinatissimi.

«Che cosa hai mangiato ieri?» 
«Ho provato un paio di fuori carta…».

Sento puzza di bruciato: è tendenza

Sento puzza di bruciato: è tendenza

Mentre imperversa la stagione delle grigliate, gli chef si sono messi a bruciare le padelle apposta e il “bruciato” è entrato a pieno titolo negli aggettivi preferiti dei menu. Ma nessun pericolo per la salute, solo suggestione

Sentire puzza di bruciato non è mai stato un buon segno in cucina. Fino a qualche stagione fa. Il nuovo gusto di tendenza è proprio questo, e la parola bruciato ricorre nei menu. Gli chef con pedigree stellati sono diventati dei “brucia padelle”, ma per scelta. Da un lato l’idea di servire cibo bruciato è una piccola provocazione lessicale, dall’altro richiama tecniche di cottura ancestrali, sapori veri, un ritorno alle origini.

La controtendenza del sotto vuoto

Bruciato significa letteralmente “arso dal fuoco” e infatti per bruciare un alimento servono temperature elevate come quelle che si raggiungono con la frittura, la griglia, la brace o il forno. Il bruciato che va di moda a scanso di equivoci non è quello annerito di un fritto in olio esausto o di un arrosto dimenticato, ma quello di cotture assimilabili al BBQ e realizzate con le classiche griglie a legna, a carbone o con strumenti alternativi.
È la controtendenza. Per anni il Roner, ossia lo strumento che permetteva di cuocere a bassa temperatura sottovuoto, ha occupato le cucine, perché permetteva di ridurre al minimo gli errori, garantendo una consistenza sempre ottimale a carne e pesce. Una volta capito il giusto rapporto fra gradi e ore, bastava insacchettare il tutto, impostare il timer e voilà. Praticissimo e capace di rivelare texture altrimenti difficili da ottenere altrimenti, ha semplicemente smesso di essere raccontato. Se c’è, non si vede e sopratutto non si dice. Nel mentre nelle cucine di oggi si è cercato lo spazio per far troneggiare in bella vista il Green Big Egg, un barbecue in ceramica dalla forma a uovo, o il forno a carbone Josper.

Pericolo cancerogeno?

Siamo stati messi in guardia contro i pericoli cancerogeni delle grigliate estive di carne e di cotture ad alta temperatura di cibo con contenuto amidaceo, come pane, pizza, patate, che permettono la formazione di acrilammide, una sostanza considerata cancerogena. Gli studi scientifici non hanno fatto dietro front e il consumo di pane annerito e la carne abbrustolita restano un consumo consigliato solo sporadicamente. E comunque ci siamo mangiati per anni, in nome della salute, impasti al carbone vegetale, neri come la pece. Ma qui parliamo di un bruciato appena accennato che evoca un piacevole sapore caramellato, amarognolo, affumicato dalla brace. Paradossalmente, l’uso del bruciato lo si trova prevalentemente associato ai vegetali, come melanzane e peperoni, frutta, come pesche e limoni, ancor prima che a carne e pesce.

Ristoranti nella Top 50

Non è una novità, al ristorante stellato di Londra the Clove Club, servono dal 2014 ogni volta che la stagione lo consente il dessert Burnt Clementine Granita with Buttermilk Mousse (una clementina bruciata ripiena di granita di agrume e panna). Dal 1988 il ristorante Asador Etxebarri, ad Atxondo, nei Paesi Baschi, cucina tutto alla griglia, dall’antipasto al dessert. Il carbone e la legna vengono personalmente scelti dallo chef Victor Arguinzoni e le griglie hanno un sistema per essere avvicinate all’occorrenza alla brace. Nel 2019 è stato votato 3° miglior ristorante del mondo nella classifica del World’s 50 Best Restaurants. Al 30° posto della stessa classifica, Elkano, un altro asador dei Paesi Baschi.

In Italia, da Camanini a Bottura

Davide Scabin al Mercato Centrale di Torino cucina solo con il Green Big Egg e ci cucina tutto: zuppe, uova, dessert inclusi i classici piemontesi con il bunet. La moda è arrivata oramai anche in Italia, percolata dagli alti livelli della creatività culinaria ai menu di anonimi locali di tendenza. Fra i grandi, Riccardo Camanini del Lido 84 di Gardone, ultimamente si è dedicato al Josper e il suo menu Oscillazioni vede ricorrere il termine. Era comunque già un signature la Crema di sedano rapa, mandorla bruciata e sciroppo di carrube, o il dolce Cioccolato croccante, mousse di cioccolato al creme brûlé, bruciata al momento.

Massimo Bottura all’Osteria Francescana serve Burnt, un piatto tutto nero con contenuto nero in cui si ritrovano i sapori della Riviera Romagnola in estate, la griglia, la sarda quasi bruciata, il classico brodetto adriatico. E non si può dimenticare la parte croccante della lasagna, piatto-icona incentrato proprio su quell’angolo di pasta bruciacchiata che spuntava dalla teglia ogni domenica. Il sapore bruciato è anche quello amarcord della cucina di casa, del forno, dei piatti preparati con amore anche se imperfetti. «Una donna felice in amore, brucia il soufflé», dice il Barone ad Audrey Hepburn nel film Sabrina Una donna infelice, dimentica di accendere il forno.

Proudly powered by WordPress