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Ricetta Seadas, la ricetta del tipico dolce sardo

Ricetta Seadas, la ricetta del tipico dolce sardo

Le seadas sono uno dei simboli della cucina sarda, dolce storico della gastronomia regionale: sono preparate con un impasto di semola (i Sardi sono maestri nel suo utilizzo), prevedono un ripieno preparato apposta con un pecorino fresco, sciolto e “formato” apposta per l’utilizzo, e si completano con il miele, spesso di corbezzolo, un’altra delle tipicità dell’isola. 

Nel Campidano, a differenza che nel Nuorese, il ripieno si prepara con una caciotta vaccina, che viene poi profumata con scorza di limone grattugiata. La frittura delle seadas può avvenire in olio di arachide o anche nello strutto che, del resto, è presente nell’impasto, con lo scopo di renderlo friabile. 

Ma si dice seada o seadas? Il nome, che pare avere origine dal sardo su seu, grasso, cioè lo strutto che si utilizza per la preparazione della pasta, nasce al singolare, seada o sebada. Con la notorietà, però, è subentrato l’uso di utilizzare questo nome sempre al plurale. 

Le seadas sono nate dalla civiltà pastorale sarda non tanto come dolce, quanto come un sostanzioso piatto unico, molto semplice, preparato con gli ingredienti a disposizione nelle dispense, lavorati con la maestria tipica delle massaie sarde, in grado di realizzare con la semola di grano duro autentici capolavori come anche il pane carasau.  

Ristorante sardo a Milano: le tapas di Frades

Ristorante sardo a Milano: le tapas di Frades

Da Porto Cervo a Via Mazzini 20 a Milano il viaggio è breve grazie a Frades. Ed è bello viaggiare a bocca aperta, quest’anno più che mai

Se siete in cerca di un buon ristorante sardo a Milano, la buona notizia è che c’è una novità pronta a conquistarvi in città. Anima sarda, contemporaneità e tantissima eleganza nei piatti e negli spazi di Frades che dalla sognante Porto Cervo sbarca nella via Mazzini per portare i prodotti e i profumi dell’isola nel centro di una città che ha tanta voglia di fermarsi per mangiare con le mani un piatto di fantastici culurgiones, serviti arrosto con un grandioso gazpacho di pomodoro.

Questo uno dei piatti forti firmati dall’Executive Chef Roberto Paddeu, anima di Frades insieme ai fratelli Fabio e Valerio. Un intreccio familiare così fitto da aver dato il nome al ristorante (Frades in sardo significa fratelli) e aver consentito ai fondatori del progetto nel supportarsi con forza nella missione, iniziata nel 2015, di valorizzare il patrimonio gastronomico dell’isola attraverso un format che sembra capace di parlare molte lingue.
A partire dalla quella sarda ovviamente, presente negli ingredienti autentici della Barbagia (la regione da cui provengono i fratelli di Orani), nei prodotti selezionati per la bottega e capace di trasformare le pareti di un elegante ristorante meneghino in un manifesto di appartenenza all’isola.

Ma Frades abbraccia il Mediterraneo che bagna la sua terra anche strizzando l’occhio all’abitudine spagnola del tapear, ovvero di assaggiare, condividere, degustare, davanti a un buon bicchiere di vino. O magari seguendo le proposte dei cocktail suggeriti in abbinamento ai piatti.

Cosa assaggiare

In un locale come Frades il consiglio non può che essere quello di affidarvi al vostro istinto. Perché varcata la soglia di questo ristorante sardo avrete la sensazione di non essere in un ristorante sardo, ma in un luogo in cui la Sardegna è pronta a concedersi senza troppi fronzoli, né evocazioni forzate. Il mio istinto mi ha portata verso i culurgiones arrosto con gazpacho di pomodoro camone, il sashimi di ricciola, prosciutto crudo di Fonni, fichi e teriyaki al mirto, il sandwich di triglia con maionese al lentisco e lorighirittas di Morgonori con brodetto di gambero rosso, basilico e lime.

Tanti piatti? Non se si condividono tra commensali!

Cosa portare a casa

Un passaggio in bottega è obbligatorio. Per perdersi tra gli autentici sapori di Sardegna, selezionati con cura ed esperienza e portare a casa salumi, formaggi, pasta, pane, vini e liquori. La buona notizia è che gli affettati sono proposti anche al taglio e sottovuoto, così come i formaggi. Tornare a casa senza salsiccia sarda, prosciutto, pecorino, fiore sardo e altri gioielli avvistati in vetrina è matematicamente impossibile.

Dove

Se siete a Milano, potete rifugiarvi nella Sardegna di Frades in Via Mazzini 20 (tel 391 386 3232), ma se questa estate puntate alla Costa Smeralda, la tappa è obbligatoria nel locale sulla Promenade di Porto Cervo, così come sulla Terrazza a Cala di Volpe.

un cous cous sardo che profuma di Tunisia

Una ricetta tipica dell’isola di Carloforte con una storia affascinante. Semola, ceci e finocchietto selvatico sono gli ingredienti che non possono mancare!

Non è un semplice cous cous. Il cascà alla carlofortina è un piatto che difficilmente si assaggia fuori dalla Sardegna, o meglio dalla regione del Sulcis, nel sud ovest dell’isola, tra Carloforte e il paesino di Calasetta. Il piatto è il protagonista di una sagra a lui dedicata, quella del Cuscus Tabarchino, che si tiene ogni anno in aprile proprio a Carloforte. Ma la sua storia ha radici antiche: la popolazione di queste zone infatti era di origini liguri e, tra il 1540 e il 1738, colonizzò una zona della Tunisia, sull’isola di Tabarka. Da qui derivano le influenze arabe nella cucina carlofortina. Di questa ricetta ne esistono diverse versioni: alla semola di grano duro infatti si mescolano verdure e legumi vari (invernali o primaverili a seconda della stagione), erbe e spezie. Con il tempo è stata aggiunta anche la carne di maiale (come le puntine per esempio). Scopriamo come preparare questo piatto.

La ricetta del cascà alla carlofortina

Ingredienti per 4 persone

Per preparare il cascà alla carlofortina vi serviranno: 250 g di cous cous, mezza verza, 150 g di ceci in scatola già pronti (se li avete secchi ricordate di metterli in acqua per una notte), 3 carote medie, 1 cipolla, 1 cavolfiore piccolo, 2 carciofi (se è stagione, altrimenti potete sostituirli con zucchina o patata e aggiungere per esempio piselli e melanzane) 1 mazzetto di finocchietto selvatico, olio extravergine d’oliva qb, mix di spezie in polvere (coriandolo, cannella, anice stellato, chiodi di garofano, noce moscata), sale qb.

Procedimento

Mettete sul fuoco 250 ml di acqua con l’aggiunta di un cucchiaio di olio extravergine. Portate a ebollizione, poi togliete la pentola dal fuoco e aggiungete il cous cous. Lasciatelo riposare coperto in modo che assorba l’acqua e si gonfi. Aggiungete ancora dell’olio (circa 2 cucchiai) e mescolatelo. Una volta pronto sgranatelo con una forchetta e mettetelo da parte.

Tritate la cipolla e mettetela a rosolare in una padella insieme a due cucchiai di olio extravergine. Unite poi la verza tagliata a fettine, le carote, il cavolfiore (ed eventuali altre verdure di stagione). Aggiungete acqua poco alla volta per completare la cottura delle verdure. Non dimenticate il finocchietto selvatico.

Se i ceci sono secchi fateli lessare in acqua bollente salata per 45 minuti in pentola a pressione.

Scaldate altro olio e rosolate uno spicchio d’aglio, aggiungete i carciofi puliti e tagliati a pezzettini. Ci vorranno circa 15 minuti.

Unite tutti gli ingredienti, spolverizzando il tutto con le spezie nella quantità che desiderate, poi servite.

Sfogliate la gallery per scoprire altre curiosità sulla storia e le origini di questo piatto

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