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da venerdì 15 gennaio i ristoratori si ribellano (forse)

da venerdì 15 gennaio i ristoratori si ribellano (forse)

I numeri parlavano di 60 mila adesioni, la realtà ne conta molti meno. Le associazioni di categoria si dissociano, ma la protesta parla di un settore in difficoltà che ha bisogno di sostegno. Anche il nostro

«Sveglia! Il 15 gennaio l’Italia riapre, senza paura». La nuova protesta dei ristoratori prevista da venerdì 15 gennaio era partita con intenzioni “bellicose” di disobbedienza civile: aprire i propri locali violando le chiusure imposte dall’ultimo DPCM. Al grido dell’hashtag #ioapro diversi ristoranti avevano proclamato di voler aderire. O così pare, perché i numeri non tornano e la protesta “dal basso” finisce per rivelarsi una boutade politica. Ma con un messaggio chiaro.

I numeri (che non tornano)

I numeri autoproclamati su social network e stampa parlavano di 60mila adesioni. Sul sito web, Ioapro.org, le attività registrate all’iniziativa risultano per ora solo 21 e sulla pagina Facebook arrivano quasi a 19mila like. L’hashtag su Instagram è stato utilizzato poco più di 1000 volte e scorrendo fra i post alla ricerca di qualche nome noto si trova solo un video di Vittorio Sgarbi (che insulta il Governo e dichiara di aprire il comune di Sutri di cui è sindaco) e post neanche troppo velatamente riconducibili alla Lega di Salvini, che ha subito sostenuto l’iniziativa proposta da alcuni ristoratori.

La diretta con Salvini che ha innescato la protesta

Tutto è partito qualche giorno fa da Maurizio Stara, proprietario di un pub a Cagliari. «Non spengo più la mia insegna, io apro», aveva scritto su Facebook. Ma l’interesse nazionale lo si deve a Umberto Carriera, «imprenditore, chef e scrittore», come si definisce su Linkedin, con sei ristoranti a Pesaro. È lui ad aver rilanciato la protesta in diretta social proprio con Matteo Salvini, per finire poi intervistato da quotidiani e televisioni, dalla D’Urso e a Porta a Porta.

«Saranno coinvolte 48 città italiane: sono i cittadini a chiederci di riaprire perché vogliono sostenerci. Abbiamo messo in campo una task force di oltre 30 avvocati», aveva dichiarato Carriera. Ma nessuna idea negazionista. Sui social network si trova infatti un “DPCM Autonomo”, ossia un Decalogo Pratico Commercianti Motivati e che prevede il rispetto delle norme di sanificazione e mascherina, la chiusura alle 21.45 e l’uso di metà dei tavoli.

Le associazioni di categoria si dissociano

Le associazioni di categoria hanno risposto dissociandosi senza se e senza ma dall’iniziativa. «Condividiamo la frustrazione e il senso di spaesamento di tanti esercenti, che possono indurre a gesti radicali. Ma proprio per supportarli efficacemente, come rappresentanza del settore più grande e diffusa dell’intero Paese, esercitiamo il nostro ruolo e la nostra responsabilità. Il nostro ruolo è quello di difendere la categoria e di rappresentarne gli interessi reali, valorizzandoli per la loro capacità di contribuire al bene e al futuro del Paese», scrive la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi. «Se in seguito ad aperture forzose si dovesse casualmente registrare un nuovo picco nei contagi, l’intera categoria sarebbe ulteriormente danneggiata anche da questo punto di vista. Gli italiani hanno sempre manifestato grande attaccamento e vicinanza ai loro Pubblici Esercizi, ma sarebbe difficile solidarizzare con atti così distanti dal comportamento condiviso. Il rischio è quello di intraprendere azioni senza storia e senza futuro, che penalizzano tutti». Gli fa eco Alfredo Zini, ristoratore e presidente del Club Imprese Storiche di Confcommercio a “Il Fatto Quotidiano”. «La protesta sta dividendo la categoria dei ristoratori e questo non va assolutamente bene. Le proteste vanno fatte rispettando le regole. Su Milano oltre 3mila saranno i pubblici esercizi che alzeranno le serrande e accenderanno le luci, mentre al momento non sono più di una ventina quelli che faranno entrare i clienti, a loro rischio e pericolo», ha spiegato. «Da parte delle associazioni di categoria c’è l’invito alla massima responsabilità perché ci si può fare sentire anche in silenzio. I ristoratori non sono untori e abbiamo sempre rispettato tutti i protocolli».

Aiutiamo il settore, a casa nostra

Da Brescia a Rovigo le prefetture promettono controlli e sanzioni a tappeto. Sui social si leggono dichiarazioni di chef e ristoratori che si uniscono al coro delle lamentele per le chiusure e i mancati ristori, ma ammettono pubblicamente di non voler riaprire nell’illegalità, per il rispetto delle regole e per paura delle ripercussioni. Amministrative e di immagine: se tanti clienti sono vicini ai ristoratori come agli altri imprenditori in difficoltà, molti di più non apprezzerebbero un gesto che rischia di mettere in pericolo la salute pubblica.
I ristoranti sono aperti, per delivery e asporto, e in questa fase li si può aiutare così. A casa nostra.

Ricetta Cime di rapa, borlotti e porcini

Ricetta Cime di rapa, borlotti e porcini
  • 500 g cime di rapa pulite
  • 200 g fagioli borlotti secchi
  • 200 g porcini freschi
  • 10 g sedano
  • 10 g carota
  • 10 g cipolla
  • 10 g aglio
  • rosmarino
  • alloro
  • peperoncino
  • sale
  • olio extravergine di oliva

Mettete a bagno i fagioli in abbondante acqua fredda per 24 ore.
Scolateli dall’acqua e cuoceteli in una casseruola con abbondante acqua leggermente salata, insieme con sedano, carota e cipolla, aggiungendo anche un rametto di rosmarino e 1 foglia di alloro. Spegnete dopo circa 2 ore. Lavate le cime e dividete le foglie dai gambi.
Centrifugate questi ultimi per ottenere un’acqua di cime di rapa: conditela con sale e un pizzico di peperoncino.
Pulite i porcini, tagliateli a cubetti e saltateli in padella con un filo di olio e l’aglio, per 2-3 minuti. Saltate in un’altra padella le foglie di cima di rapa, con olio e peperoncino.
Scaldate l’acqua di cime di rapa e versatene un mestolo nei piatti, unite i porcini, le foglie di cima e i borlotti. Completate con un filo di olio di oliva.

Pizza a sette sfoglie – La Cucina Italiana

Pizza a sette sfoglie - La Cucina Italiana

I racconti sotto l’albero. Tutti abbiamo un ricordo segreto delle feste di quando eravamo bambini. Magari come questo, fatto di odori di cucina, mani in pasta e zie chiacchierone. Ecco per voi uno dei racconti della nostra redazione tratti dal numero di dicembre

«Hai i palmi troppo caldi per fare la pasta!». Se c’era una frase che poteva offendermi nel periodo delle feste era questa.

Il fatto è che quando ero bambina c’era una ricetta che metteva in agitazione la famiglia più di tutte le altre e questa era la pizza a sette sfoglie. «La pizza» veniva nominata in tutte le telefonate e le riunioni di famiglia prenatalizie: «…e quest’anno chi fa la pizza?».
Perché la pizza sette sfoglie era «il dolce» della tradizione della nonna e la nonna era mancata da pochi anni e la ricetta vera, con le dosi e il procedimento corretto, non la sapeva nessuno. E forse nessuno ci si voleva mettere davvero a farla, tranne me.
Certo, ci voleva un po’ di supporto, perché la pizza era, è, davvero complicata, soprattutto per una bambina delle elementari. Ci voleva la mamma, a ricordare l’impasto, «Forse però la nonna Rosaria ci metteva anche un pochino di vino bianco», «No, ma quest’anno aggiungiamo più olio, altrimenti viene asciutta», e ci voleva papà, a sgusciare noci, mandorle e nocciole, a scegliere l’uvetta passa, ma quella grossa, l’uva Malaga. E poi arrivavano i consigli – non sempre richiesti – dalle zie. E da loro arrivava anche quella frase lì, mentre con tutte le forze da bambina impastavo: «Hai i palmi troppo caldi per fare la pasta!».
Ma alla fine ogni anno la pizza si componeva, sette strati di frutta secca, cioccolato e spezie. Sempre un po’ troppo dolce, o forse quest’anno un po’ secca, e probabilmente ogni volta un po’ diversa da quella della nonna, ma sempre protagonista ostinata dei nostri Natali.

Nonostante i miei palmi così caldi.

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