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Cosa mangeremo nel 2023? | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Cosa mangeremo nel 2023? Cibi funzionali, economici, sani e sostenibili. Nel 2023 tenderemo a mettere nel carrello cinque «super alimenti» pratici da consumare e in grado di soddisfare in modo corretto le esigenze nutrizionali senza svuotarci il portafoglio. Lo assicurano le dietiste Susie Burrell e Leanne Ward, protagoniste del podcast The nutrition coach. Australiane, le loro previsioni sul cibo del futuro riguardano l’alimentazione a livello globale. Anche l’Italia seguirà le tendenze?

Cosa mangeremo nel 2023? 

Il pesce in scatola

Il primo e più grande trend dei prossimi 12 mesi sarà quello del pesce in scatola. Le lattine di tonno, sardine, aringhe e sgombro, da sempre molto popolari in Scandinavia, rappresentano una importante fonte di Omega 3 e proteine, e sono alla portata di tutte le tasche, a differenza di pesci costosi come il salmone o il polpo. D’altra parte, tutti ci siamo accorti che le aziende che producono il pesce in scatola stanno differenziando e arricchendo le loro proposte. Ora c’è anche un hashtag, #TinFishDateNight, che è di tendenza su TikTok per mostrare i piatti preparati dagli home cooker con il pesce in scatola come ingrediente principale.

I funghi medicinali

Il secondo alimento destinato a diventare il cibo del futuro sono i funghi medicinali o adattogeni. Si tratta di piante e funghi che aiutano il corpo a rispondere positivamente a stress, ansia e stanchezza, e favoriscono il benessere generale. È sempre più di tendenza il caffè di funghi, preparato con chicchi di caffè e una miscela di estratti di funghi benefici macinati. Vi sembra bizzarro? In realtà, si tratta di una bevanda che, in Finlandia, era popolare già ai tempi della seconda Guerra mondiale: i funghi venivano usati come alternativa quando il caffè non era così disponibile. 

La pasta di legumi

Nel 2023 prenderà sempre più piede anche la pasta a base di ceci, lenticchie e altri legumi (e c’è da aspettarsi un aumento delle varietà proposte). Tutte queste paste a basso contenuto di carboidrati rispondono alle esigenze dei consumatori che sono sempre più attenti alla salute e che cercano modi sani e deliziosi per aumentare l’assunzione di cibi vegetali.

Il dattero

L’altro super alimento del futuro (anche se in realtà si tratta più di una riscoperta) è il dattero, sempre più apprezzato perché davvero ricco di antiossidanti. Molte persone hanno cominciato ad utilizzarne lo zucchero o la pasta come dolcificante naturale più salutare e meno calorico dello zucchero tradizionale. Il frutto mediorientale sarebbe anche molto utile per la salute dell’intestino e delle ossa.

Le alternative alla carne

Il prossimo sarà anche l’anno dei prodotti lattiero-caseari a base vegetale e delle alternative alla carne, rispettose del mondo animale e dell’ambiente. Che non piacciono solo a vegetariani e vegani: secondo i dati di Atlante e Nielsen, infatti, il 90% di questi nuovi consumatori mangiano anche carne, ma il 46% di loro ha affermato di averne ridotto il consumo nel 2021. La proteina vegetale che si è affermata sin dall’inizio è stata la soia, proprio perché caratterizzata da una serie di fattori che ne hanno facilitato l’utilizzo e il consumo, come l’adattabilità climatica e la presenza dell’olio nel seme. Ma le fonti proteiche sono in continua innovazione, e oggi includono anche piselli, ceci, fave e micoproteine (quelle dei funghi unicellulari).

Le clementine del futuro raccontano l’agricoltura italiana | La Cucina Italiana

Le clementine del futuro raccontano l’agricoltura italiana
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Clementine e mandarini sono tra i frutti più amati della stagione invernale: piacciono anche ai bambini, sono belle da vedere e facili da mangiare, sia a casa sia in ufficio. Dopo le arance sono gli agrumi più venduti, sono immancabili sulla tavola delle Feste, ma rischiano di scomparire. Il cambiamento climatico ha ridotto infatti il raccolto di più del 30% nello scorso anno e quindi il futuro dell’amato frutto (almeno quello italiano) sembra essere appeso a un filo. Che fare? Ricerca.
Siamo andati così letteralmente “sul campo” per conoscere di più sulla loro coltivazione e scoprire che la storia delle clementine non è molto diversa da quella degli altri frutti, e per avere una visione ben più ambia su quello che portiamo in tavola, e che porteremo nei prossimi anni.

La clementina… non esisteva

Se mandarino, pomelo e cedro sono frutti originari, tutti gli altri agrumi sono la conseguenza di incroci spontanei o voluti dall’uomo in epoche anche remote. Sono nati così limoni, arance e tutto il resto che consideriamo oramai tradizionale, come le clementine, o che appare sul mercato come una novità, tipo mapo, Tacle e via discorrendo. Selezionate da un abate magrebino ai primi del Novecento, le clementine sono un incrocio fra arancio amaro e mandarino e da allora si sono diffuse in tutto il mondo, Italia inclusa. Come per tutta la frutta diffusa oramai da tempo, infatti, oltre alla versione comune sono state create anche diverse varietà, alcune sviluppate da università, aziende o privati. La ricerca è moltissima nel settore dell’ortofrutta ed è focalizzata nel cercare piante più resistenti ai parassiti, più produttive, capaci di dare frutti più “comodi” come quelli senza semi o di adattarsi a climi sempre meno favorevoli. La frutta “naturale” quindi non esiste, ma è il prodotto del sapiente lavoro dell’uomo, che dai tempi di Mendel e degli esperimenti sui piselli, ha saputo individuare e selezionare ciò che riteneva più buono, più utile, più pratico (senza OGM). Oggi questa ricerca prosegue senza sosta, per cercare nuovi prodotti di tendenza, ma soprattutto per sfamare gli 8 miliardi di abitanti della Terra e per superare gli effetti del cambiamento climatico.

La ricerca necessaria

Nel settore delle clementine, ma valga come esempio, minori piogge e condizioni atmosferiche di caldo estremo hanno determinato un drastico calo produttivo della varietà cosiddetta “comune” che rappresenta il 90% della produzione nazionale sparsa fra Calabria, Puglia e Sicilia. «Questo frutto dolcissimo di cui siamo stati per decenni il produttore europeo di riferimento», spiega Marco Eleuteri, presidente della Op Armonia, una delle maggiori realtà produttive e distributive italiane del segmento, «ha via via perso smalto e la produzione nazionale è in continuo calo, nel frattempo altri Paesi, come la Spagna, il Marocco e l’Egitto, sono diventati più competitivi perché, lavorando sul miglioramento varietale, hanno ampliato il calendario commerciale e aumentato la resa. Anche perché qui i consumi si concentrano nell’arco di cinque mesi, e soprattutto tra metà dicembre e fine gennaio, quando oramai scarseggia il prodotto made in Italy». Di questo passo, insomma, rischiamo di non mangiare più clementine italiane a Natale; e questo è solo un assaggio di preoccupazioni economiche e di prospettive ben peggiori per gli agricoltori contemporanei. Il problema non è finire per importare frutta dall’estero, ma smettere di fare ricerca e di vocarsi come Paese a produzioni di qualità, come vera formula per il successo made in Italy. Il protezionismo in questo campo non passa quindi dalla conservazione dell’esistente, ma dalla sua continua evoluzione: l’agricoltura tradizionale – o banale, come la definisce Eleuteri – di varietà “comuni” che punta tutto sul prezzo e non sulla qualità, risulta sempre meno competitiva, garantisce profitti minori e in senso prospettico non sembra quindi rappresentare il futuro dell’agricoltura nazionale. La confessione è che ha fare produzioni convenzionali e “comuni” spesso ci si pagano a malapena le spese e si finisce schiavi degli aiuti economici, mentre a fare qualità ci si guadagna, in tutti i sensi. Camminando fra le coltivazioni sperimentali di agrumi e centri di selezione e confezionamento con i soci della OP Armonia si capisce subito che la soluzione è investire, in varietà innovative o grani antichi poco importa, ma comunque in prodotti ad alto valore aggiunto. E lavorare in sinergia fra produttori in modo organizzato per gestire gli accordi commerciali con le grandi catene di supermercati, e fare marketing. Per fare agricoltura non basta lavorare bene sul campo, insomma.

Perrina, la nuova clementina

Il clima non è più quello di una volta, ma neppure la frutta, ed ecco che la risposta è una nuova clementina, la Perrina, varietà frutto della mutazione spontanea e dell’adattamento naturale della pianta che consentirà presto di avere una produzione tardiva, cioè fino a primavera inoltrata. Arriverà sul mercato nel 2023: la prima volta che il suo scopritore ne aveva parlato era il 1995. Francesco Perri, agronomo calabrese specializzato in agrumi, ha lavorato in collaborazione con Op Armonia e il Crea-Ofa di Acireale, ente pubblico e principale centro di ricerca agrumicola nazionale, a un programma di “miglioramento genetico della clementina italiana” che ha significato un lungo percorso, centinaia di ibridi ancora in osservazione e ingenti investimenti. Il risultato? Una varietà stabile, sicura, già testata, per un frutto buonissimo che ha meritato anche un premio internazionale al Superior Taste Award 2021 insignito da una giuria composta da alcuni dei migliori chef e sommelier del mondo. La Perrina arriverà sul mercato con il marchio DolceClementina, perché la bontà ha bisogno di essere comunicata, e per farlo a Battipaglia si sono inventati anche un logo con cui commercializzare il proprio prodotto e renderlo riconoscibile. Da commodity a brand, la clementina ha iniziato un percorso per non essere più semplicemente “italiana”, e indica una traiettoria per l’agricoltura italiana tutta. Non solo made in Italy, ma riconoscibile, oggettivamente migliore e con un futuro a cui guardare.

Ricetta Nervetti in insalata, la ricetta lombarda

Ricetta Nervetti in insalata, la ricetta lombarda

Step 1

Per la ricetta dei nervetti in insalata, pulite 1 gambo di sedano, 1 carota, 1/2 cipolla e tagliateli grossolanamente. Metteteli in una casseruola piena di acqua insieme con 1 foglia di alloro e portate a bollore. Unite quindi la testina (o i piedini) e lasciatela cuocere, a leggero bollore, per circa 1 ora e 15 minuti (un po’ di più i piedini). Scolate la carne e lasciatela raffreddare per 12 ore.

Step 2

Mettete a bagno i fagioli in acqua per almeno 6 ore. Cuoceteli poi in 1/2 litro di acqua scaldato con 1 filo di olio, 1 carota, 1 gambo di sedano e 1/2 cipolla mondati e tagliati a pezzi. Unite 1 foglia di alloro e 1/2 cucchiaio di sale, abbassate il fuoco e cuocete per 40 minuti. Scolate i fagioli e schiacciatene metà con la forchetta; conditeli con un filo di olio, sale e aceto di mele, ottenendo una crema.

Step 3

Mondate la cipolla rossa, sfogliatela e scottate le foglie in acqua e sale. Sciogliete lo zucchero in una casseruola con 400 g di acqua e 100 g di aceto di mele. Portate a bollore, unite le foglie della cipolla, spegnete il fuoco e lasciatele a raffreddare nell’acqua per circa 30 minuti.

Step 4

Spolpate la carne e tagliatela a bastoncini (nervetti). Raccoglieteli in una ciotola e conditeli con un ciuffo di prezzemolo tritato, 2 cucchiai di olio, 2 cucchiai di aceto di mele, una presa di sale, pepe. Aggiungete i cannellini interi e mescolate. Lasciate riposare per 30 minuti, poi servite accompagnando con la crema di cannellini. Completate con 2 gambi di cipollotto tagliati molto finemente.

Step 5

Più facile e veloce: potete acquistare i nervetti già pronti da condire oppure la carne già cotta, da tagliare a bastoncini e condire.

Ricetta: Davide Marzullo, Foto: Riccardo Lettieri, Styling: Beatrice Prada

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