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Anna in Casa: ricette e non solo: Frolla rustica alle carote

Anna in Casa: ricette e non solo: Frolla rustica alle carote

Se ho delle commissioni o appuntamenti preferisco sempre fissare l’uscita di casa durante la mattinata. Il pomeriggio divento una talpa; mi piace dedicarmi alla cucina o finire i lavori di casa che per uscire ho tralasciato. Il pomeriggio, dopo aver sbrigato le faccende in cucina, tempo permettendo mi siedo una mezz’oretta sul divano, con la tv accesa ( a proposito, ancora ci sono i film di Natale 🙋) e dedicarmi alla maglia o all’uncinetto. Prima di cena, faccio un giretto su IG e se riesco aggiorno il blog.

Intanto che provo a riorganizzarmi e cercare di tenere il ritmo delle due ultime settimane (ho pubblicato tutti i giorni o quasi), devo preparare altro succo di carote e rifare la frolla con gli scarti. Con questa frolla, che non necessita di riposo, si possono preparare crostate o biscotti dal gusto rustico.

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Io l’ho utilizzata per preparare dei pasticcini con la crema di nocciole.

Ingredienti

400 g di farina 00

110 g di g carote finemente grattugiate 

           o scarti da centrifuga

120 g di zucchero di canna

90 ml di olio di semi

1 uovo

1 tuorlo

 

Procedimento

In una ciotola versare la farina, lo zucchero,  

 le carote finemente grattugiate e iniziare a mescolare.

 

 

Aggiungere il Marsala e l’olio, 

Infine unire al composto l’uovo e il tuorlo. 

 

Trasferire il composto sulla spianatoia 

e lavorare fino ad ottenere un panetto 

dall’aspetto un po’ grezzo.

 

 

Da visitare nel 2022: Chioggia, Courmayeur e Napoli 

Da visitare nel 2022: Chioggia, Courmayeur e Napoli 

Sono le localitĂ  da visitare secondo il New York Times, che noi confermiamo anche per la bontĂ  del cibo: ecco la top 5 dei piatti piĂą tipici

Chioggia, Courmayeur e Napoli. Sono queste le località italiane incluse nella lista dei 52 luoghi del pianeta da visitare nell’anno 2022 appena cominciato secondo il New York Times. Il fil rouge della top parade stilata dall’autorevole quotidiano americano è quello del turismo sostenibile, ovvero quei luoghi dove anche “i visitatori possono fare una differenza (…), destinazioni di viaggio per un mondo cambiato”, si legge tra le motivazioni. La differenza la fa anche il cibo, da sempre tra le prime attrazioni per i turisti stranieri che vengono nel nostro Paese. 

Chioggia, il sapore della laguna 

“Costruita su un agglomerato di isole della laguna veneta, con edifici secolari che sorgono dai canali in tutto il loro splendore decadente, Chioggia è chiamata la “piccola Venezia”. La gente del posto non è d’accordo: semmai, dicono, è la vicina Venezia che dovrebbe essere descritta come la più grande sosia di Chioggia, ed è vero, Chioggia ha origini più antiche”. Anche la tradizione culinaria vanta una lunga storia legata perlopiù alla pesca, confermato dall’importanza del Mercato Ittico di Chioggia, e da alcuni piatti tipici locali. (Posizione in classifica: 1)

– Sarde in saor, sardine fritte con cipolle bianche di Chioggia cotte in aceto di vino bianco; 

– Bigoli in salsa, pasta lunga con un sugo di acciughe salate; 

– Peoci in cassopipa, cozze cucinate con cipolla e aglio; 

– Suca risi, minestra di zucca con chicchi di riso; 

– Polenta e schie, piccoli gamberetti fritti tipici della laguna veneta. 

Courmayeur, il sapore della montagna 

“Questa affascinante cittadina ai piedi del Monte Bianco, in una regione storicamente francofona d’Italia, ha da tempo cercato di trovare un equilibrio tra turismo e conservazione. Decenni prima che il turismo di massa diventasse allarmante, Courmayeur aveva iniziato a limitare in estate l’accesso alle sue due alte valli, la Val Veny e la Val Ferret, riducendo il numero di ingressi anche nelle osterie locali, note per la loro polenta concia — polenta cremosa con fontina locale”. Non solo polenta, perché è il territorio il segreto dei prodotti valdostani. Aria pura, acqua incontaminata dei ghiacciai e terra di montagna conferiscono il sapore deciso ai salumi, carni, formaggi e ai vini d’alta quota, come il Vallée d’Aoste Blanc de Morgex et de La Salle. (Posizione in classifica: 13)

– Chnéfflene, bottoncini di pastella cotti in acqua bollente e conditi con fonduta, panna e speck;

– Chnolle, gnocchetti di farina di mais, da mangiare in un brodo di carne di maiale caldo; 

– Seupetta à la valpelleunèntse, la zuppa della Valpelline con pane nero, cavoli e fontina; 

–  Tartiflette, ricetta della Savoia con formaggio reblochon, patate, cipolle e pancetta; 

– Bouilli à la saumure, un bollito di carne salata. 

Napoli, il sapore del mare 

“Vedi  Napoli e poi muori, si dice, il che significa che questa bellezza del Mediterraneo dovrebbe essere inclusa nella lista dei desideri di tutti. Ma purtroppo la città ha di fronte un futuro precario. Senza alcun intervento, a causa dell’alta densità di popolazione, secondo un recente rapporto Napoli patirebbe 55 giorni di caldo estremo all’anno entro il 2049 e 93 giorni entro il 2081. La buona notizia è che alcuni locali si stanno rimboccando le maniche. Un gruppo di residenti nel quartiere popolare di San Giovanni a Teduccio ha creato una comunità di “energia equa” per fornire elettricità pulita e gratuita alle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, con un sistema di 166 pannelli solari”. A parte le belle iniziative a sostegno di una città migliore e sostenibile, a Napoli “si muore” anche per il cibo. Oltre ai grandi classici, dalla pizza alla sfogliatella al babà, ecco quali sono alcuni piatti della tradizione forse meno noti, perlopiù primi a base di pasta (al dente). (Posizione in classifica: 34)

– Sartù di riso, sformato con ragù e piselli; 

– La genovese, ziti con ragù bianco di carne e cipolla;  

– Spaghetti alla Nerano, con zucchine fritte e basilico;

– Casatiello, torta salata di pane con sugna e… molto altro;  

– Pasta e patate, con pasta mista e tanta provola, molto asciutta. Divina. 

Vini biodinamici in Alto Adige

Vini biodinamici in Alto Adige

Prodotti in armonia con la natura, secondo le indicazioni di Rudolf Steiner, i vini biodinamici altoatesini sono una nicchia tutta da conoscere

Anche se ha solo 5.600 ettari di vigneto (circa l’1% del totale nazionale), l’Alto Adige è tra le più importanti regioni italiane per la produzione di vino di qualità, soprattutto per quanto riguarda i bianchi, che qui rappresentano il 64% del totale. La viticoltura è caratterizzata dalla presenza delle cooperative che vinificano le uve dei circa 5.000 viticoltori altoatesini, con risultati eccellenti (basti pensare a nomi come Terlano, realtà conosciuta e premiata nel mondo), da produttori privati, che in parte producono e in parte acquistano le uve, e da vignaioli che seguono l’intera filiera produttiva, dalla vigna alla bottiglia. L’attenzione alla sostenibilità, alla biodiversità e al rispetto della terra è, in generale, piuttosto elevata, ma ci sono cantine che ne hanno fatto una vera e propria filosofia produttiva, abbracciando la viticoltura biodinamica.

Cos’è la biodinamica

La viticoltura biodinamica è un tipo di agricoltura biologica, che si basa sulle idee del filosofo austriaco Rudolf Steiner. Tra le sue principali peculiarità, l’utilizzo di trattamenti a base di erbe e di alcuni particolari preparati e l’osservanza delle fasi lunari per le pratiche agronomiche. I vini biodinamici sono certificati dal marchio di qualità Demeter, riportato in etichetta.

Le migliori cantine

La viticoltura biodinamica è una nicchia, ma negli ultimi anni sta prendendo piede tra i consumatori attenti alle produzioni più sostenibili. Le cantine meritevoli di attenzione in Italia sono ormai centinaia e l’Alto Adige non fa eccezione, anzi: addirittura le cantine sociali più grandi, come quella di Caldaro, studiano le pratiche biodinamiche negli appezzamenti dei soci più visionari.

Tra i nomi storici della biodinamica altoatesina, c’è Manincor, che ha festeggiato nel 2021 i 25 anni di attività; situata a Caldano, comprende vigneti in alcune delle zone più vocate della provincia, come Mazzon, culla del miglior Pinot Nero, e Terlano, zona particolarmente vocata per le uve a bacca bianca, come pinot bianco, chardonnay e sauvignon. I vini hanno uno stile preciso, pulito e luminoso e sono in grado di sfidare il tempo con aristocratica eleganza; provare per credere con una vecchia bottiglia di Chardonnay Sophie o di Pinot Bianco Eichhorn.

Risale, invece, al 1978 la fondazione della cantina Loacker, sulla collina di Santa Maddalena, a pochi chilometri dal centro storico di Bolzano. Oggi condotta dai figli di Reiner, Hayo, Franz e Hannes, produce vini rossi molto interessanti, soprattutto a base delle uve caratteristiche di qui, schiava e lagrein. Sono da assaggiare il Gran Lareyn, un lagrein in purezza che profuma di frutti di bosco e spezie e sta molto bene per accompagnare i piatti di cacciagione come il capriolo, e il Santa Maddalena Morit, capace di rappresentare alla grande l’essenza dei vini che nascono su questa fortunata collina. Stappatelo con i canederli, con un tagliere di speck e formaggi, ma anche con una pizza alla boscaiola.

Un altro nome di riferimento della biodinamica altoatesina è, senza dubbio, Lageder, azienda che da qualche tempo ha visto l’ingresso della nuova generazione e, con essa, di nuove idee e progetti, come quello delle “Comete”, vini figli di prove in vigna e in cantina realizzati per una volta soltanto. Le etichette icona rimangono però i due Löwengang, un rosso a base di Cabernet e un bianco a base di Chardonnay che nascono sulle colline di Magrè e che hanno contribuito all’affermazione della viticoltura altoatesina ben oltre i confini locali.

Chiudono la carrellata due realtà più piccole e artigianali ma altrettanto interessanti. Tenuta Dornach di Patrick Uccelli sta sulle colline di Salorno, nella zona più meridionale dell’Alto Adige. I vini qui dal 2019 non hanno un nome, ma un numero, che segue l’ordine di imbottigliamento, perché Patrick crede che il vino sia unico e non possa essere replicato con lo stesso risultato ogni anno. Provare per credere con l’assaggio del 14, un Pinot Nero della vendemmia 2018 e del 17, sempre Pinot Nero, ma dell’annata 2020. Sulle colline di Caldano, c’è la minuscola Tröpfltalhof di Andreas Dichristin, un’azienda con 2,5 ettari di vigneti che comprende anche appartamenti agrituristici. Il vino da non perdere qui è il Garnellen, un sauvignon affinato in anfora, pieno di vitalità e di sapore.

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