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Sardegna: 3 cose da fare per un tour sostenibile

La Cucina Italiana

Sardegna significa brezza marina e mare incantevole. Su quest’isola magica per gli italiani e non solo, le distese di spiagge bianche sono immense e soleggiate e l’acqua è cristallina. A ciò si aggiungono una lunga storia testimoniata dai villaggi nuragici o dalle Tombe dei Giganti, le antiche tradizioni tutte da scoprire (pensiamo alla Cavalcata Sarda), la natura incontaminata con le sue tante riserve e i piatti tipici tramandati di generazione in generazione, come il porceddu.

Raggiungere la Sardegna è molto semplice, basta prendere un traghetto o un volo. Si parla sempre più di “viaggio sostenibile”, ovvero caratterizzato da scelte consapevoli e responsabili; organizzare un viaggio rispettoso dell’ambiente è possibile e non è affatto difficile. Ecco qualche consiglio.

La costa di Baunei al primo posto, Chia al quinto, la penisola del Sinis all’ottavo, la Baronìa al nono, il litorale di Budoni al quattordicesimo, la Planargia al quindicesimo e la Gallura al sedicesimo. Gradino più alto del podio, quattro litorali nella top ten delle 5 Vele, altri tre nei ventuno ai quali è stato assegnato il riconoscimento. Nel 2023 la Sardegna è ancora una volta leader nella classifica di Touring Club e Legambiente e aggiunge un tratto costiero ai sei già premiati negli anni passati per il valore ambientale dai viaggiatori esperti, avvezzi alle bellezze di tutto il mondo, e da chi, per passione e mestiere, è da sempre impegnato a difesa dell’ambiente naturale. Non a caso, tra tutte le località italiane che hanno ottenuto il punteggio massimo, una su tre si trova in Sardegna.

3 cose da fare per una vacanza sostenibile in Sardegna

Spostamenti consapevoli

Una volta raggiunta l’isola, per visitarla si può utilizzare un mezzo di trasporto, oppure può essere interessante ricorrere, nei luoghi più pianeggianti e per percorrere le brevi distanze, a un servizio di noleggio bici. La Sardegna è attenta al tema della sostenibilità e mette a disposizione bus elettrici di cui i turisti possono usufruire a prezzi contenuti.

Preferire il cibo locale

Ovunque si vada è bene preferire il cibo locale. Tra le peculiarità che più entusiasmano il turista in visita vi è certamente la cucina sarda. Si tratta di una cucina molto antica e ricca di squisite specificità: dalla pasta alla carne passando per il pesce e i dolci-non dolci. Se si vuole mantenere uno stile di vita sostenibile anche in vacanza e assaporare le specialità del territorio, si possono scegliere i ristoranti sardi che prediligono il cibo realizzato partendo da prodotti a km zero.

Dormire green

Oramai l’Italia intera è ricca di luoghi dove alloggiare, che rispettano l’ambiente. Se si vuole organizzare un viaggio sostenibile in Sardegna la prima cosa da fare è scegliere un alloggio green. L’offerta alberghiera sarda è vasta e include molte strutture rispettose dell’ambiente come le cosiddette case country.

Per capire dove alloggiare basta prestare attenzione al possesso da parte della struttura di alcuni requisiti come: utilizzo di lampadine a basso consumo energetico; uso di prodotti biologici; presenza di fonti di energia rinnovabili (pannelli solari); rispetto della raccolta differenziata, ecc. Esistono, inoltre, bioarchitetture progettate e costruite secondo criteri ecologici.

Fare trekking consapevole

Chi dice che la Sardegna sia solo mare? Chi si reca in Sardegna per un soggiorno spesso lo fa (anche) per praticare il trekking naturalistico o urbano al fine di scoprire le meraviglie più note e quelle più nascoste dell’isola. Una volta che ci si immette lungo il sentiero è bene tenere a mente le seguenti regole: non lasciare mai il sentiero già tracciato così da non danneggiare l’habitat naturale; non accendere falò; usare creme solari naturali (la regola vale anche in spiaggia) per non intaccare l’equilibrio di flora e fauna, e, ancora più importante, non gettare mai a terra i rifiuti. Sono le piccole accortezze a fare la differenza.

Ravioli del plin, storia e ricetta di nonna Metilde | La Cucina Italiana

Ravioli del plin, storia e ricetta di nonna Metilde
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Metilde Cigliutti vive da sempre tra le colline delle Langhe, insieme ai suoi ravioli del plin. E da sempre sa bene che sono un patrimonio di tutta l’umanità, come pochi anni fa ha riconosciuto anche l’Unesco. «I miei genitori» racconta, «erano contadini. Avevano un po’ di vigneti, ma anche alberi da frutta, perché mio padre amava le pesche e coltivava le varietà più rare e originali che trovava. In passato tutto era molto diverso. D’inverno faceva davvero freddo, la neve scendeva in abbondanza e il ghiaccio restava fino alla primavera. Oggi tutto intorno vediamo filari di viti, ma allora c’erano anche tanti campi di grano e granoturco. In queste zone la mietitura è stata fatta a mano fino agli anni Sessanta». Anche la cucina, nel corso degli anni, è cambiata: «La vita in campagna era durissima. Si mangiava di più e le portate dovevano essere molto nutrienti per sostenere la fatica del lavoro. Oggi alcuni piatti sono complicatissimi, ma allora le pietanze erano semplici, preparate con gli ingredienti disponibili in quel momento».

Se vivi nelle Langhe, non puoi fare a meno di tajarin e ravioli e Metilde era una bambina quando ha imparato a fare la pasta fresca da mamma Clementina. «La cucina era il luogo più importante della casa, era l’unico spazio riscaldato, il centro della vita della famiglia. Durante la giornata, il potagé (la stufa a legna) era costantemente acceso, con il contenitore dell’acqua calda pronto per l’uso. Il fuoco era sempre utilizzato, con il sugo che cuoceva lentamente, le minestre che bollivano nel loro brodo denso per tutta la giornata e i piatti che venivano tenuti in caldo per chi arrivava in ritardo».

Metilde ha festeggiato pochi mesi fa il suo cinquantesimo anniversario di matrimonio. Ha conosciuto suo marito Giuseppe andando a lavorare come cameriera per il ristorante Savona di Giacomo Morra, il padre fondatore della famosa Fiera del tartufo di Alba. Durante una festa organizzata dal ristorante al Castello di Racconigi, i due si sono incontrati e da allora sono stati sempre insieme. «Quando ci siamo sposati, abbiamo fatto una grande festa nel cortile di casa e a cucinare per tutti noi è venuto un cugino. Era autunno e avevamo un cesto enorme di tartufi. Ma allora costavano molto meno di oggi».
E così, da Barbaresco si è trasferita qualche chilometro più in là, ad Alba, nella frazione Madonna di Como, dove vive ancora oggi con il marito, il figlio Mario e il cognato Osvaldo. A pochi passi di distanza c’è il suo piccolo agriturismo, Villa Bricco Paglieri, un’unica casa in affitto con dieci stanze. «Quanto sono cambiati i tempi. In passato gli unici stranieri arrivati in zona», conclude Metilde, «erano stati gli americani verso la fine della guerra. Ora arrivano turisti da tutto il mondo per conoscere la nostra terra, le nostre tradizioni e la nostra storia. E quando vengono a trovarci, c’è sempre un bicchiere di vino e qualche fetta di salame ad aspettarli».

I ravioli del plin, la ricetta di Metilde Cigliutti

«Iniziate cucinando l’arrosto di vitello; come una volta, io aggiungo alla carne anche un po’ di acqua e vi cuocio il riso. A parte, sbollento le erbette (spinaci e coste) e poi le salto in padella con il burro. Quando l’arrosto è pronto, trito insieme carne, verdure e riso e amalgamo con formaggio grattugiato, un uovo e un pizzico di noce moscata. La pasta è simile a quella dei tajarin: dieci uova per un chilo di farina. Dovete tirarla con la macchina finché non diventa molto sottile. Si taglia con la rotella in lunghe strisce larghe circa 5 centimetri; si posa il ripieno in piccole quantità a distanza regolare di poco più di un centimetro e più vicino a uno dei due bordi. Dopo aver ripiegato la pasta, in modo da coprire completamente i mucchietti, arriva il momento del plin, il pizzicotto che chiude per bene il ripieno all’interno della pasta fresca sigillandone le estremità, prima di dividere i raviolini con la rotella. Il condimento? Io preferisco burro e salvia, perché lascia apprezzare tutto il sapore del ripieno. E non preoccupatevi per quelli che si rompono durante la preparazione: saranno ottimi alla sera, da gustare col brodo».

Ricetta Macco di fave con crostini alla ‘nduja

Ricetta Macco di fave con crostini alla 'nduja

Step 1

Per la ricetta del macco di fave con crostini alla ‘nduja, cuocete le fave secche in una pentola con abbondante acqua salata per circa 30 minuti, finché non cominceranno a sfaldarsi. Spegnete e unite 1 cucchiaio di finocchietto tritato.

Step 2

Eliminate la crosta del pancarré, tagliatelo a cubetti, distribuitelo in una teglia rivestita con carta da forno, conditelo con olio e sale e infornatelo a 180 °C per 10 minuti.

Step 3

Sfornate i crostini, conditeli con la ‘nduja spezzettata, quindi rosolateli in una padella a fiamma viva per 2-3 minuti, mescolando in modo che la ‘nduja si sciolga e si distribuisca in modo uniforme.

Step 4

Sbollentate per 1 minuto le fave fresche, tuffatele in acqua fredda e togliete la pelle.

Step 5

Servite il macco di fave con i crostini alla nduja, completando con ciuffetti di finocchietto e un filo di olio.

Step 6

Abbinamento vino: La piccantezza dellanduja ha bisogno di un rosato del Sud, pieno di carattere. È una garanzia il Grayasusi 2022 Etichetta Rame di Ceraudo, un Gaglioppo rotondo ed equilibrato, che nasce in Calabria e profuma di frutti rossi e rosa canina. Da bere fresco, sui 14 °C. 20 euro, ceraudo.it

Ricetta:  Arianna Consiglio, Foto: Guido Barbagelata, Styling: Beatrice Prada

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