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La tavola degli italiani ha tutto un altro GUSTO!

La tavola degli italiani ha tutto un altro GUSTO!

La tavola degli italiani raccontata attraverso un confronto con il passato, il presente e il futuro, tra ricerca scientifica, esperienza pop, gioco e indagine critica. L’esposizione GUSTO! Gli italiani a tavola. 1970-2050, al M9 di Venezia, parte proprio da qui: la tavola degli italiani intesa non solo come oggetto fisico attorno al quale esercitare le dinamiche della convivialità, bensì come identità di un Paese. Tutto parte, attraversa e arriva al concetto di “gusto”, «più che una parola, un concetto filosofico ben più ampio della cucina e dell’alimentazione», spiega Laura Lazzaroni, scrittrice e giornalista, esperta in panificazione, che con Massimo Montanari, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, ha curato la mostra. «Gusto è filiera, paesaggio agricolo, biodiversità, agricoltura, design, condivisione, incontro, ricerca scientifica, sostenibilità… Uno state of mind, che ha a fare con la vita, con il rapportarsi al mondo, diverso curioso appassionato e buono».

La casa degli italiani

Quando i curatori hanno progettato la mostra, che inaugura la trilogia italiana di M9, non hanno pensato solo al cibo o agli chef. «Abbiamo costruito una grande casa fatta di stanze che raccontassero il gusto degli italiani attraverso il paesaggio agricolo, la biodiversità dei prodotti, la cucina di casa, i ristoranti e i mercati, le tavolate e il cibo di strada, il design e i flussi migratori, le sfide dell’ambiente e della salute, l’ingegneria spaziale e le nuove filiere, fino alla progettualità delle scuole». La prima sezione della mostra è dedicata al lessico del cibo: parole ed espressioni come ricetta, soffritto, cervello, cuore, butta la pasta, al dente, radici, identità, parte di un glossario utile per orientarsi tra le sfumature dei termini cardine di questo “viaggio” che attraversa 80 anni di gastronomia italiana. 

Le stanze del Gusto

Si entra quindi nel cuore dell’esposizione con le otto Stanze del gusto, che raccontano il tema della mostra attraverso immagini, video, oggetti iconici e testimonianze. Dal Gusto italiano con una monumentale tavola periodica degli ingredienti (formaggi, latticini, salumi e carni, frutta e ortaggi, oli e grassi, cereali e pasta, vitigni tra le categorie che compongono la lista con più di 1.800 voci), al Gusto della casa tra ricettari e oggetti iconici di design che raccontano le abitudini culinarie italiane, come scolare, grattugiare, condire, stappare, farsi aiutare, fare il caffè, farsi un bicchiere. Ad abbracciare questa sezione della mostra, la parete del Racconto del Gusto. Un perimetro di locandine, foto d’autore, réclame, riviste (molte consultabili), guide enogastronomiche, ricettari. 

Chef e ristoranti

E poi, immancabile ma non prioritario, il Gusto fuori casa: da un lato la cucina di ristoranti e trattorie, dall’altro il rito delle grandi tavolate collettive, tra ricerca gastronomica e convivialità. «Gli chef i ristoranti, con la loro popolarità negli ultimi anni, hanno contributo a interrogarci nuovamente sul gusto e a rinnovare l’interesse sul cibo, ma sono diventati talmente accentratrici che stiamo rischiando di dimenticare tutto il resto», mette in allerta Lazzaroni. Ciò che invece è importante ricordare è che la cucina italiana è filiera, artigianato, creatività, design. «C’è una parte con le foto delle tavolate in famiglia che abbiamo chiesto di mandarci, oltre alle ricette di casa tramandate di generazione in generazione, progetti fotografici che documentano le sagre e fiere, aggregazione collettive legate alle festività religiose e connotate di regione in regione. Ancora prima di arrivare al ristorante», aggiunge la curatrice. 

I 10 piatti memorabili

Spiccano in questa sezione anche 10 fedeli riproduzioni – in materiali plastici – di piatti d’autore e della tradizione italiana: il Risotto con foglia d’oro di Gualtiero Marchesi, il Carpaccio di Giuseppe Cipriani, l’Uovo in raviolo di Nino Bergese, il Savarin di riso di Mirella Cantarelli, gli Spaghetti alla lampada di Angelo Paracucchi, i Tortelli di zucca di Nadia Santini, la Passatina ceci e gamberi di Fulvio Pierangelini, il Cyber egg di Davide Scabin, l’Assoluto di cipolle di Niko Romito e il Nero su nero di Massimo Bottura.  Ai piatti fa da sfondo una grande parete dedicata a 40 interpreti che hanno influenzato, con stili e in epoche diverse, la cucina contemporanea. Seguono le stanze del Gusto dell’industria (Storie di grandi aziende italiane, immagini di pubblicità e di catene di montaggio, oggetti simbolo), Gusto del viaggio (con tre marchi cult: il panettone di Alemagna, quello del maestro pasticcere Iginio Massari e quello di Roy Shvartzapel, che proprio da Massari ha imparato l’arte), Gusto dell’incontro (un racconto tra città e campagna, Nord e Sud), Gusto di oggi (con un focus sulla nutrizione e sulla salute) e Gusto del futuro.

Il Gusto del futuro

La parte conclusiva della mostra è focalizzata sia alle innovazioni tecnologiche (spazio e coltivazioni sperimentali anche sulla Terra), sia sulla trasformazione delle abitudini alimentari. «Tutto gira attorno allo spaghetto del futuro, un piatto che a onor del vero proviene da “fuori”, gli spaghetti dagli arabi, il pomodoro dall’America: perché ogni ricetta nel momento in cui nasce cambia, anche quella che pensiamo più nostra…», spiega Laura Lazzaroni. Per ipotizzare quale sarà il gusto del futuro bisognerà tenere conto di alcune variabili: «la contaminazione è la prima delle sfide, che scaturisce dalla stratificazione di culture diverse,  e tra 30 anni lo sarà ancora di più. Pensiamo solo alla cacio e pepe ramen o alla lasagna al kimchi, chissà quali altre pennellate aggiungeremo al cibo». Altra sfida da affrontare è il falso alimentare, «la contraffazione dei nostri prodotti in tutto il mondo sarà uno dei nodi da sciogliere». Così come la sostenibilità ambientale e i cambiamenti geopolitici. «Consumeremo sempre meno carne, e la cultura del vegetale sarà al centro». E ancora: come riusciremo a sfamare tutti? Mangeremo da soli o in compagnia? «Chissà, se cucineranno ancora i cuochi o si svilupperanno le dark kitchen e i delivery». Tutti interrogativi che la mostra pone sullo stesso piatto, partendo dalla consapevolezza che, come pensava Raymond Carver, il gusto ha a che fare con l’amore. «Entrambi riguardano il piacere, (…) entrambi la trascendono mettendo insieme biologia e cultura, il corpo dell’individuo e quello sociale, la nutrizione fisica e i valori collettivi. Un ponte che dall’io porta al noi». E ci fa godere ogni volta che ci mettiamo a tavola e mangiamo uno spaghetto al pomodoro.

Cucinare la pasta in modo sostenibile: 3 trucchi

La Cucina Italiana

Non basta usare meno l’auto, riciclare bene e ridurre gli sprechi: anche il modo in cui si cucina la pasta può avere un impatto sull’ambiente. Lo ha calcolato Perfect Food Consulting, che si occupa di consulenza per la sostenibilità nel settore agroalimentare, per uno studio promosso da Unione Italiana Food. La ricerca ha preso in considerazione i consumi di energia, le emissioni di CO2 e l’utilizzo di acqua.

Bisogna premettere che la pasta è già il prototipo dell’alimento green. Il suo impatto ecologico, dal campo alla tavola, è minimo: meno di un metro quadrato globale a porzione e appena 150 grammi di CO2 equivalente. Ma possiamo fare ancora di meglio, con alcuni semplicissimi accorgimenti (che ci aiuteranno anche a ridurre i costi delle bollette). Infatti il 38% del totale dell’impronta carbonica della pasta dipende dalla fase della cottura a casa. 

Ecco 3 trucchi per cucinare la pasta in modo sostenibile

1 Mettere il coperchio

Se quando si porta a bollore, si mette il coperchio, il risparmio energetico basta a ricaricare uno smartphone per 2 o 3 volte. Quando poi si butta la pasta, il coperchio va tolto, perché la pasta si cuoce scoperta, a meno che non la stiamo facendo in pentola a pressione o con cottura passiva. Usando il coperchio si risparmia fino al 6% di energia ed emissioni di CO2 equivalente. E ci si mette pure meno tempo.

2 Usare la giusta quantità di acqua

È quella che permette alla pasta di cuocere in modo omogeneo senza attaccarsi e con un perfetto grado di salatura. Secondo la tradizione, per ogni etto di pasta serve un litro d’acqua. Ma oggi, con il miglioramento della qualità della pasta (che rilascia meno amido in cottura), un etto può cuocere benissimo in 0,7 litri di acqua. Utilizzare meno acqua permette anche di concentrare l’amido e rendere più facile legare con il condimento. Per quanto riguarda i consumi di energia, vengono ridotti del 13% (con un risparmio del 30% di acqua).

3 Spegnere il fuoco prima 

Con la cottura passiva, la pasta cuoce a fuoco acceso solo per 2-4 minuti da quando l’acqua riprende il bollore. Poi si spegne il fornello e si copre la casseruola con il coperchio per limitare la dispersione del calore, lasciando la pasta in infusione nell’acqua per il restante tempo indicato sulla confezione. Si tratta di un metodo utilizzato dalle nonne per cucinare la pastina per la minestra, ma è un sistema validissimo anche per completare la cottura dei formati più grossi, come conchiglioni, fusilloni e paccheri, che consente anche di evitare che si rompano o perdano la forma. Con il metodo della cottura passiva, il risparmio di energia e emissioni di CO 2 e arriva fino al 47%.

Alcuni italiani hanno già queste buone abitudini: l’87% utilizza sempre il coperchio per far bollire l’acqua più rapidamente. Ma 3 su 4 usano ancora troppa acqua e la cottura passiva viene applicata solo da un italiano su 10 (dati Piepoli/UIF). 

Sono piccoli gesti, ma con un potenziale enorme: se tutti gli italiani seguissero questi accorgimenti ogni volta che preparano un piatto di pasta, in un anno si risparmierebbero almeno 350 milioni di chilowattora, che basterebbero a illuminare gli stadi di calcio per tutte le prossime 24 stagioni di Serie A, Premier League, Liga spagnola e Bundesliga.

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Crostata sole – Ricetta di Misya

Crostata sole - Ricetta di Misya

Innanzitutto preparate la frolla: mettete tutti gli ingredienti (farina, maizena, burro a tocchetti, zucchero a velo, uovo, lievito e buccia di limone) in una ciotola e impastate velocemente fino ad ottenere un composto omogeneo.

Avvolgete il panetto con pellicola per alimenti e lasciatelo riposare in frigo per almeno 30 minuti.

Riprendete il panetto, stendetelo in una sfoglia abbastanza sottile e usatela per foderare lo stampo (rivestito di carta forno o leggermente imburrato), quindi tagliate l’eccesso lungo i bordi e bucherellate il fondo con i rebbi di una forchetta.

Iniziate ad assemblare il dolce: pigiate leggermente sulla frolla con un coppapasta da 10-11 cm di diametro, senza incidere ma lasciando solo un segno leggero.
Con un coltello a lama liscia o una rotella per pizza, ricavate 8 spicchi al centro di questo cerchio appena visibile, poi stendete la marmellata sulla superficie non incisa, infine ripiegate gli spicchi fatti al centro sopra alla marmellata, portando le punte fino ai bordi, a simulare i raggi della vostra crostata sole.

Completate l’opera: spennellate la frolla con il latte, quindi decorate gli spicchi con la granella di zucchera e il diametro esterno con le mandorle, infine cuocete per circa 35 minuti o fino a doratura a 170°C, in forno statico già caldo.

La crostata sole è pronta, non vi resta che deliziare tutti i vostri ospiti.

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