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Tiella di Gaeta – Ricetta di Misya

Tiella di Gaeta - Ricetta di Misya

Preparate l’impasto: unite farina e lievito in una ciotola e mescolate, aggiungete l’acqua e iniziate a impastare, quindi incorporate anche l’olio.

Infine aggiungete anche il sale e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo, quindi coprite la ciotola con pellicola trasparente e lasciate lievitare per 1-2 ore o fino al raddoppio.

Intanto occupatevi del polpo: innanzitutto pulitelo (qui la guida per farlo al meglio).

Portate ad ebollizione una pentola ampia piena di acqua e, prendendolo per la testa, tuffateci dentro i tentacoli del polpo, quindi sollevatelo e ripetete per altre 2-3 volte (in questo modo i tentacoli si arricceranno).
Quando i tentacoli si saranno arricciati, rimettetelo nella pentola a testa in giù, chiudete con il coperchio e fatelo sobbollire per 20 minuti quindi, senza aprire, spegnete il fuoco e lasciatelo così finchè non si sarà raffreddato.

Preparate il ripieno: tagliate il polpo a tocchetti, lavate e tagliate i pomodorini, denocciolate le olive.
Unite tutto in una ciotola e condite con sale, olio, prezzemolo tritato e, se volete, peperoncino, e mescolate.

Riprendete l’impasto, dividetelo in una metà più grande e una più piccola e stendete entrambe.
Con il disco più grande, foderate lo stampo dopo averlo leggermente unto di olio.

Aggiungete il ripieno, coprite con con la seconda sfoglia e livellate e poi sigillate molto bene i bordi con i rebbi di una forchetta.
Cuocete per circa 30 minuti o fino a doratura a 180°C, in forno statico già caldo.

La tiella di Gaeta è pronta, lasciatela intiepidire per qualche minuto prima di servirla.

Storie di produzioni sostenibili | La Cucina Italiana

Storie di produzioni sostenibili | La Cucina Italiana

Oggi consumare carne necessita consapevolezza e molta attenzione. In Italia ci sono ancora tanti produttori che tutelano l’alta qualità preservando la sostenibilità. Tra questi, alcuni piccoli produttori portano avanti la loro storia e una filosofia produttiva (e di vita) che oggi va preservata. Un esempio è Gaia di Stefano dell’Azienda Agricola delle Vacche Erranti, che, insieme al marito Alex portano avanti una realtà a conduzione familiare, in provincia di Novara. Inizio a parlarle e noto che l’accento non è locale. Originaria della provincia di Viterbo, infatti, Gaia arriva nella zona Verbania come ingegnere per insegnare elettrotecnica alle superiori per poi innamorarsi di un nuovo mondo: quello degli animali.

Chi siete?

“Io, il mio compagno e le nostre tre bambine siamo l’Azienda Agricola familare Vacche Erranti. Partiamo da storie personali differenti, io sono un ingegnere, mentre Alex sin da quando è ragazzino è sempre stato innamorato degli animali. Di famiglia nessuno di noi è agricoltore. Quando abbiamo iniziato avevamo solo un gregge di pecore e qualche bovino. Nel tempo la situazione si è ribaltata: oggi abbiamo due pecore e una centinaia di bovini”.

La particolarità della vostra realtà?

“Abbiamo una gestione particolare dell’allevamento: non c’è una stalla e non abbiamo una base fissa. Quello che facciamo si chiama pascolo vagante: ciò significa che siamo transumanti. In questo modo gli animali si nutrono solamente di erba, senza alcuna integrazione di mangimi o foraggi insilati. In alcuni luoghi in Italia esiste ancora una transumanza orizzontale (ad esempio: in inverno dall’interno dell’Abruzzo si portano gli animali verso la costa per poi invertire il cammino in primavera). Nel Nord dell’Italia, invece, esiste una forma di transumanza chiamata verticale: di inverno sei in pianura, e invece d’estate si sale negli alpeggi. Per quanto riguarda noi durante il periodo autunnale le vacche si muovono dalle rive del fiume Toce in val d’Ossola fino quasi a sfiorare il fiume Po, per tornare poi indietro in primavera.
Questo metodo garantisce una vita sana e felice agli animali, e condizioni di vita più naturali possibili. La nostra è quindi una transumanza quotidiana: partiamo dall’alpeggio ad ottobre, scendiamo con la mandria di animali (più di 200 vacche) e giorno per giorno ci spostiamo. Alcuni giorni ci muoviamo poco (2km) altri 20/30 km per raggiungere pascoli più lontani. Per far capire quanto i nostri animali mangiano sano e naturale basti vedere che quando nevica qualche volta gli portiamo del fieno ma loro ci dormono sopra invece di mangiarlo”.

Cosa significa per te consumare carne sostenibile?

Consumarne meno, purtroppo negli ultimi anni si è riscontrato un eccessivo consumo di carne. Neanche noi, che siamo produttori, la mangiamo tutti i giorni, bisogna essere consapevoli di quale e quanta mangiarne”.

Come funziona la vostra vendita?

“Noi vendiamo quasi solo a clienti privati e a pochi ristoranti, facendo loro un pacchetto con un assortimento misto di tagli. Educhiamo quindi il consumatore a mangiarne tutti i tagli. Prima di tutto per una ragione pratica in quanto non macelliamo. Quindi ogni volta che sezioniamo un animale, va sezionato e venduto tutto, non possiamo permetterci di vendere solo alcuni tagli. Il secondo motivo è etico. Noi viviamo e siamo parte della nostra mandria, per cui l’animale che sacrifichiamo ha una una dignità nel complesso: dalle frattaglie al filetto è tutto parte di uno stesso animale che per noi noi ha lo stesso valore. Il nostro compito è anche quello di educare il cliente a non consumare solo la bistecca, ma anche il bollito, lo spezzatino, insomma tutte le parti che compongono l’animale”.

Amazonia – The Final Season, il nuovo docu-film di Lavazza

La Cucina Italiana

Il progetto promuove la conservazione del patrimonio forestale esistente, attraverso un presidio diretto da parte delle comunità indigene, che diventano così “guardiani della foresta”.
Inoltre viene svolta la piantumazione delle zone degradate, ad esempio con alberi di noce amazzonica (Bertholletia excelsa), una risorsa ambientale preziosissima, poiché può crescere fino a 50 metri di altezza, vivere fino a 700 anni e immagazzinare circa 64.000 kg di CO2 nel corso della sua vita. 

Il progetto ha anche un forte risvolto sociale, promuovendo la raccolta, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti locali, fonte di autoconsumo e opportunità economica per le comunità indigene.

I risultati

Finora, questa attività ha già consentito la preservazione di oltre 30.000 ettari di foresta vergine, la salvaguardia di quattro comunità locali, il rimboschimento di 295 ettari di terra e il miglioramento delle condizioni alimentari, sociali ed economiche di 570 abitanti della zona, grazie all’installazione di 25 ettari di sistemi agroforestali.

Con la Fondazione Lavazza, stiamo intensificando quei progetti di riforestazione che hanno un impatto positivo sulle persone e l’ambiente e che rispondono a tre dei quattro Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite per noi prioritari: Goal 8 – lavoro dignitoso e crescita economica, Goal 12 – consumo e produzione responsabile, Goal 13 – lotta al cambiamento climatico” – afferma Mario Cerutti, Chief Institutional Relations & Sustainability Officer di Lavazza – “Il caffè è un prodotto della terra e come la terra è minacciato dai cambiamenti climatici. Inoltre, anche in questo momento storico, non possiamo dimenticare che milioni di contadini in più di 30 Paesi sono impegnati nella coltivazione del caffè: con loro, il Gruppo Lavazza vuole collaborare per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, promuovere buone pratiche agricole e supportare uno sviluppo sociale sostenibile”. 

Fondazione Lavazza, che oggi supporta e finanzia 32 progetti in 20 Paesi in 3 continenti per oltre 130.000 beneficiari, ha intensificato lo sviluppo di progetti a sostegno della riforestazione, un problema in crescita in tutti i Paesi produttori di caffè.
In collaborazione con organizzazioni non governative e istituzioni di profilo internazionale, la Fondazione è attiva su questo fronte in Etiopia e Perù con iniziative dedicate, e a Cuba, Haiti, Repubblica Dominicana, Colombia con progetti di sostenibilità. Attraverso queste attività, è stato possibile piantare oltre 15 milioni di piante di caffè tra 2015 e 2020

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