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Tagliatelle di zucca – Ricetta di Misya

Tagliatelle di zucca

Innanzitutto mondate la zucca e tagliatela a cubetti.

Lasciatela stufare a fiamma molto bassa e con coperchio per circa 20-30 minuti o finché non risulterà molto morbida (dipende da quanto sono grandi i cubetti), cercando di non farla attaccare al fondo.
(In alternativa potete cuocerla in forno o al vapore: non la lessate, in modo che non assorba acqua in eccesso.)

Frullate la zucca con un minipimer o in un mixer fino ad ottenere una purea.

Mettete la farina in una ciotola, aggiungete al centro la purea di zucca e un pizzico di sale e impastate velocemente fino ad ottenere un panetto omogeneo.
Avvolgetelo con pellicola per alimenti e lasciate riposare a temperatura ambiente per 30 minuti.

Riprendete l’impasto e stendetelo in una sfoglia sottile (circa 2 mm) sul piano di lavoro leggermente infarinato.

Avvolgete la sfoglia infarinata su se stessa e tagliatela a fette da circa 1 cm, quindi srotolatele per ottenere le tagliatelle.

Ecco qui, le vostre tagliatelle di zucca sono pronte, non vi resta che cuocerle e condirle a piacere.

Se volete condirle seguendo il mio suggerimento, mettete a bollire l’acqua per la pasta, e nel frattempo preparate il condimento: dopo averle tritate grossolanamente, fate tostare leggermente le nocciole in una padella antiaderente, quindi mettetele da parte e, nella stessa padella, lasciate sciogliere il burro con la salvia spezzettata.

Cuocete le tagliatelle in abbondante acqua bollente leggermente salata, scolatele al dente e fatele insaporire brevemente nel condimento, aggiustando di sale a piacere.

Le tagliatelle di zucca sono pronte, non vi resta che impiattare, completare con le nocciole e servire.

Carnevale di Venezia: 7 ricette allegre e squisite

Carnevale di Venezia: 7 ricette allegre e squisite

Creme fritte – I Rombi del Doge

Il rombo, o losanga, è una figura araldica molto usata e ha finito per dare il nome alla crema fritta cucinata dai veneziani e ritagliata in questa forma geometrica, così squisita da diventare una leccornia degna di un principe, o appunto di un doge, la figura di maggior spicco della Serenissima. Tutti i bàcari veneziani, le tipiche osterie, servivano questi squisiti e profumati «rombi del doge», croccanti fuori e morbidi dentro, dal giorno di Sant’Antonio fino a martedì grasso, secondo la tradizione, possibilmente accompagnati da un bel bicchiere di passito.

La fritola – Un affare di Stato

Nate nel Trecento e proclamate nel Settecento «dolce nazionale della Serenissima», le fritole venivano preparate in esclusiva dai membri della rinomata corporazione dei fritoleri che si tramandavano la ricetta di padre in figlio, e vendute anche agli angoli delle strade, infilate ancora bollenti in uno spiedino di legno per non ungersi le dita e zuccherate abbondantemente con un apposito contenitore bucherellato. L’arte dei friggitori locali era tanto apprezzata che Goldoni, nella sua celebre commedia Il campiello, mette tra i protagonisti la fritolera Orsola, figura che pittori come Pietro Longhi hanno immortalato sulle loro tele, irrinunciabili protagoniste del Carnevale.

Maschere – In Bianco e Nero

Indossando la Bauta, il più celebre travestimento veneziano, il volto restava celato sotto una maschera bianca, la Larva, che copriva tre quarti del volto e alterava anche la voce, rendendo irriconoscibile chi la indossava, tanto che l’Inquisizione ebbe da ridire sull’uso indiscriminato che molti aristocratici ne facevano anche al di fuori del periodo carnevalesco per combinarne di cotte e di crude. La Moretta, detta anche «serva muta», era invece scura e di forma ovale; riservata alle donne, per portarla bisognava «mordere» un bottone posto al suo interno all’altezza della bocca, così che chi la indossava non poteva parlare. La preferivano popolane e borghesi.

Pasticcio alla napoletana – Un Piatto da Seduttore

Giacomo Casanova fu un protagonista del Carnevale veneziano. Raffinato buongustaio, nelle sue memorie cita tra i piatti preferiti il pasticcio di maccheroni «preparato da un bravo cuoco napoletano», perfetto per i giorni di festa e di allegria. A quei tempi il pomodoro non era ancora entrato come ingrediente comune nelle cucine e la pasta («maccherone» era nome comune di diversi formati, corti e lunghi) veniva condita anche con zucchero e miele. La nostra ricetta è ripresa da un repertorio napoletano della seconda metà del Settecento, Il cuoco galante di Vincenzo Corrado.

Il testo storico è stato scritto dall’esperta Marina Migliavacca.

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