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Burro: storia, produzione e qualità

La Cucina Italiana

È il turno del burro. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontano dalla zona di produzione. 
La ricchezza del burro è il risultato di lavorazioni essenziali che aggiungono solo quel poco che serve per trasformare in gioia la materia prima.

Il burro

Il burro – prima immancabile, poi criminalizzato – è prepotentemente tornato. Anche nell’alta cucina, dove c’è chi lo miscela con acqua e poi lo monta per dargli leggerezza e chi preferisce quello più saporito di bufala campana. Il sociologo Enrico Finzi parla di «revanche del burro, che deriva dalle caratteristiche organolettiche spesso connesse al piacere (di mangiare e – più in generale – di vivere) e al contributo che dà alle ricette». Il +6,7% di consumo nel 2022 ha riguardato pure il Centro-Sud Italia, storicamente legato all’olio di oliva: Plutarco narra che Giulio Cesare, ospite di Valerio Leonte a Milano, dovette richiamare alle buone maniere i suoi ufficiali, contrariati nell’assaggiare quel che a loro sembrava un unguento per il corpo.

La rivalutazione del burro (e delle sue tante varianti) cammina di pari passo con il miglioramento qualitativo e la diversificazione delle produzioni. Ritenuto (a torto e a lungo) sottoprodotto del formaggio, la grande semplicità della lavorazione ne garantisce la naturalità: emerge in centrifuga o per affioramento lavorando la panna pastorizzata o cruda. Di minore qualità i derivati dal siero; i migliori quelli delle sperdute malghe sulle Alpi. Essendo un grasso, veicolo di sapori, esalta le caratteristiche degli ingredienti. Per questo è ideale nei risotti, indispensabile negli impasti dolci, e una spennellata va bene anche sulla carne.

Carta d’identità del burro

COME SI PRODUCE – Per affioramento della panna, grazie ai tempi lunghi, acquista maggiore aromaticità. In centrifuga (ad almeno 6500 giri al minuto) garantisce la purezza della materia.

ASPETTI NUTRIZIONALI – È ricco di vitamine A, D, K ed E, essenziali per il sistema nervoso e immunitario. Va usato con moderazione perché accusato di far aumentare il colesterolo e i grassi nel sangue.

CARATTERISTICHE – Il colore varia dal bianco al giallo oro. Il profumo è armonioso e delicatamente aromatico, senza punte. In bocca ha sapore neutro. Non devono esserci gocce di liquido. Sentori di formaggio al naso sono sintomi di alterazione.

CHIARIFICAZIONE – Per le fritture si usa il burro chiarificato che ha un punto di fumo molto alto (non brucia fino a 200 °C). È un normale burro, privato di acqua e caseina (la proteina del latte).

I capperi di Pantelleria: storia e produzione

I capperi di Pantelleria: storia e produzione

Dove nascono e come si producono: la storia dei capperi di Pantelleria. Raccolti a mano, maturati nel sale marino: ecco il segreto dei boccioli migliori. Un sapore antico, che dalla terra arriva fino alle stelle…

Sapidi, aromatici, crescono solo dove la terra è baciata ardentemente dal sole, i capperi. La loro prima menzione gastronomica se la aggiudica niente meno che la Bibbia. Ma è Nicolo de’ Nicolai, cameriere e geografo del Re di Francia, che intorno alla metà del XVI secolo porta agli onori della cronaca quelli di Panthalarea (antico nome di Pantelleria) «dove fa gran copia di cottone e capperi, fichi, melloni e buona uva…». Oggi il 78% dei capperi pregiati nostrani si coltivano su questisola (2000 quintali l’anno, per un prodotto che si fregia dal 2010 del marchio Igp) e a Salina (circa 400 quintali l’anno, Presidio Slow Food dal 2020). A raccontarcelo è Rosario Cappadona, uno dei 250 coltivatori della Cooperativa Agricola Produttori capperi (capperipantelleria.com). Qui la pianta del Capparis spinosa è stata selezionata fin dall’Ottocento per ottenere la varietà Inermis, cultivar Nocellara, caratterizzata «da mancanza di spine, un bottone fiorale piccolo, compatto perché pieno di stami, che la rende più pregiata oltre che più docile alla raccolta».

Una volta avviata la coltivazione, i capperi ricevono le stesse cure riservate alla vite: « Il terreno viene lavorato e concimato in inverno e le piante potate. Si raccoglie all’alba, da metà maggio a fine settembre. Poi, a fine giornata, si depongono i boccioli in appositi tini a maturare lentamente, in salamoia, con procedimenti tramandati di padre in figlio. La chiave è il sale marino che fa sprigionare loro la caratteristica fragranza».

Cresce la produzione di zafferano in Italia. Le nostre ricette

Cresce la produzione di zafferano in Italia. Le nostre ricette

Sono in aumento le piccole realtà a conduzione familiare che si dedicano alla coltivazione di questa spezia così preziosa, ma in Italia manca una certificazione che distingua lo zafferano nazionale da quello importato. Ecco le nostre ricette allo zafferano

Sarà il colore dei suoi fiori o il profumo che regala ai piatti ogni volta in cui viene aggiunto, ma lo zafferano è una spezia dal potere ammaliante e seducente. Lo sanno bene i tanti piccoli produttori che dalla Lombardia alla Sardegna si dedicano alla coltivazione di questo fiore così prezioso e delicato, tanto da richiedere una lavorazione completamente manuale. Ora anche Fucecchio, patria dell’indimenticabile Indro Montanelli, diventa città dello zafferano, a conferma che, nonostante sia una coltura che richieda tanta cura, i coltivatori in Italia sono in crescita. «E sono perlopiù donne», racconta Giovanni Piscolla, consigliere dell’Associazione Zafferano Italiano. La dedizione e la cura che questa piantina richiede attira più donne che uomini e si può dire che lo zafferano sia una coltura prevalentemente femminile. Questo perché gran parte del processo produttivo di questa pianta la donna è in grado di seguirlo autonomamente, dalla semina alla raccolta degli stigmi, che viene fatta la sera o l’alba, quando il fiore è ancora chiuso, per evitare di rovinare tutto».

In Italia le piccole imprese che fanno parte dell’Associazione Zafferano Italiano sono circa 300, ma sono più di 500 quelle che coltivano lo zafferano, tutte a conduzione familiare. «Il grande problema», precisa Piscolla,«è l’impossibilità di distinguere il prodotto da importazione, proveniente soprattutto da Afghanistan e Iran, da quello italiano, lavorato in un modo completamente differente rispetto a quello importato, considerato soltanto un prodotto colorante. Perché lo zafferano è un alimento che ha non soltanto colore, ma anche aroma e profumo. Noi ricerchiamo un bouquet, un complesso di fattori, a partire dall’aroma. È una particolarità che differenzia il nostro dal prodotto coltivato in Afganistan o in Iran, dove il processo di essiccazione è completamente diverso da quello che viene effettuato sugli stigmi italiani. Con risultati non paragonabili».

Una coltivazione alla portata di tutti

Lo zafferano si può coltivare a ogni latitudine in Italia. «Fondamentale è avere terreni senza ristagni di acqua. Poco terreno consente di ottenere qualche ettogrammo di raccolto, che si traduce in un discreto guadagno, basti pensare che questa spezia vale dai 35 ai 60 euro al grammo, quasi come l’oro!». Scientificamente noto come Crocus sativus, lo zafferano è una piccola pianta di consistenza erbacea alta dai 15 ai 40 centimetri. I bulbi vanno interrati a una profondità di 5-8 centimetri, distanti fra loro altrettanti centimetri e ogni anno disseminati per preservare la qualità del prodotto. Ogni fiore ha in media 3 stigmi che appaiono come filamenti di colore rosso aranciato, ricchi di 4 sostanze fondamentali come la crocina e la crocetina che gli donano il caratteristico colore, la picrocrocina che gli dà il potere amaricante, e il safranale che dà l’aroma così specifico. L’aspetto più faticoso, se si vuole, è la raccolta degli stigmi, che si fa in soli 20 giorni, da metà ottobre ai primi giorni di novembre, e avviene la notte o alle prime luci dell’alba, quando il fiore è ancora chiuso.

Il caso dell’Abruzzo

Da sempre l’Abruzzo è la regione in cui la coltura dello zafferano è più sviluppata. Negli ultimi anni tuttavia, è mancato un ricambio generazionale nelle aziende, che rischiano così di chiudere. «Questo ha causato un grande danno, soprattutto in Lombardia», precisa Piscolla, «dove il prodotto utilizzato è tutto importato dall’Iran, a un prezzo 5 volte inferiore a quello che è il costo della manodopera in Italia. Se non riusciamo a distinguere il prodotto importato da quello coltivato in Italia, noi non potremo far crescere il numero di realtà che si dedicano a questa coltura. Fortunatamente molti Comuni sono vicini alle nostre aziende agricole, con le mense, che mettono nei menu tanti piatti in cui lo zafferano è uno degli ingredienti principali. La strada sarà quella di conquistare contemporaneamente spazi sui mercati esteri, sino a che non riusciremo a valorizzare il nostro prodotto in Italia».

Come si utilizza

Questa spezia si trova in commercio in polvere oppure in stigmi. La prima è più semplice da utilizzare, è sufficiente aggiungerla al brodo o mescolarla al condimento di una carne perché rilasci il colore e l’aroma nel piatto. Una volta aperta la bustina tuttavia non si può essere certi che si tratti di zafferano purissimo o di un mix di zafferano e curcuma, spezia meno pregiata e molto spesso mescolata al primo. La scelta degli stigmi dà invece la certezza che si tratti di puro zafferano. Prima di utilizzarli vanno lasciati in ammollo nel brodo, in acqua o nel latte tiepido per almeno 40 minuti, in modo che possano rilasciare nel liquido tutte le sostanze di cui sono ricchi.

L’uso per la cosmesi

Negli ultimi anni lo zafferano ha trovato grande impiego nella cosmesi, grazie ai suoi principi attivi rivitalizzanti, antiossidanti, purificanti e antinfiammatori. Nei prodotti cosmetici, questa spezia può contribuire a rendere la pelle idratata, elastica, compatta e luminosa, contrastando l’invecchiamento e la comparsa di macchie, soprattutto in pelli più mature. L’impiego come prodotto di bellezza si dice risalga ai tempi di Alessandro Magno, quando l’imperatore era abituato a lavarsi i capelli nella polvere di zafferano per preservare il suo colore biondo. Si narra anche che questa spezia avesse proprietà afrodisiache e che venisse usato da Cleopatra come crema di bellezza o per colorarsi le gote. Nella medicina Ayurveda il suo distillato, usato assieme all’olio di sandalo nei massaggi, viene utilizzato per aprire il chakra del cuore, il chakra più importante, la sede dello spirito e il centro da cui nascono tutte le emozioni umane; compreso l’amore.

Le nostre ricette con lo zafferano

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