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«Vedo poca sensibilità e troppo commercio» | La Cucina Italiana

«Vedo poca sensibilità e troppo commercio»
| La Cucina Italiana

Il nome dell’insegna di Juri Chiotti è un manifesto: Reis, cibo libero di montagna. Reis è una baita nella borgata di Valmala dove sono nati il padre, i nonni e su su a risalire: il luogo si chiama Chiot Martin (chiot sta per altura, in lingua locale), che richiama l’origine della famiglia. Chiotti è qui dal 2021, terza tappa del suo ritorno a casa dopo l’esperienza stellata.

Sì, perchè questo 37enne di Rossana, provincia di Cuneo, perennemente vestito da contadino (e non da farmer, sia chiaro), ha deciso che dopo un biennio nel ‘salotto buono’ dell’alta cucina era tempo di tornare alle radici, appunto reis in occitano. Insieme a un talento come lui – Diego Rossi – era riuscito a difendere la Stella Michelin di un ristorante storico quale Dalle Antiche Contrade a Cuneo dove era andato via Luigi Taglienti.

«Quando vanti un macaron della Michelin e hai 26 anni, è facile montarsi la testa: tutti ti chiamano, tutti vogliono venire da te, e questo meccanismo ti fa perdere di vista le cose che sono importanti. Per questo ho mollato quel mondo, e sono tornato in montagna» spiega Juri Chiotti.

Prima ha preso in gestione il rifugio Meira Garneri a Sampeyre e successivamente un casale di due piani a Frassino dove è nato il primo Reis: più un manifesto sostenibile che un locale in parte descritto dal sottotitolo “Cibo libero di montagna”.

Intervista a Juri Chiotti

Chiottti, lei ha fatto un passo indietro nel momento in cui poteva spiccare il volo: passaggi importanti da Massimo Camia, Norbert Niederkofler, Carlo Cracco; un biennio stellato; offerte prestigiose per spostarsi. E invece…
«Diciamo che all’età in cui sono fuggito non avevo chiaro il posto in cui avrei voluto vivere. Volevo solo imparare il maggior numero di cose del mio mestiere. Sono andato via nel 2007 e sono tornato quattro anni a Cuneo. Ho resistito due anni. Poi ho scelto la montagna».

Il suo posto nel mondo?
«A poco a poco ho maturato la convinzione che era qui. Perché ho bisogno di attimi di solitudine, di non sentire troppo l’influenza dell’uomo sul territorio di sentirmi un po’ “into the wild”. E quella solitudine ce l’avevo in casa, era qui. Sembrava un salto indietro lasciare il centro di un capoluogo per salire in un rifugio a quasi 2mila metri: pure i miei mi davano dell’incosciente».

Lei spesso mette l’accento sul concetto di cambiamento. Quale sarebbe?
«Quello di tornare alla terra. Coltivare quello che mangiamo. La cucina non è niente se non c’è qualcuno che produce le cose. Per questo ho preso un agriturismo, per unire la produzione alla cucina e dare il giusto valore all’alimento prima che arrivi sul piatto. Ho preso le pecore, poi le capre, poi sono arrivate le anatre, le galline, coltivo l’orto. Il mio obiettivo era creare un luogo che fosse autosufficiente, dimostrare a me stesso che era possibile per poi dire agli altri: “guardate, si può vivere e avere un ristorante senza impattare sull’ambiente”. Ci sono riuscito».

Spigola Fritta

Pulite il pesce, lavatelo e asciugatelo. Praticate alcune profonde incisioni su entrambi i lati, arrivando sino alla lisca centrale. Battete insieme farina, sale, olio d’oliva e acqua, aggiunta poca per volta in modo da ottenere un impasto liscio e densa, con cui rivestirete il pesce. A questo punto friggete la spigola in una padella a bordi alti dove avrete ben scaldato l’olio e fate dorare da entrambe le parti. Posate poi il pesce su un foglio di carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso e copritelo con la salsa allo zenzero, guarnite con prezzemolo o con peperoncini verdi. Servite be…

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