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come a Venezia si festeggia la fine della peste

come a Venezia si festeggia la fine della peste

Questa ricetta si mangia il 21 novembre, data simbolo della fine della pestilenza del 1630. La chef Chiara Pavan l’ha reinterpretata così durante il congresso Identità Golose 2020, con gli stessi ingredienti (verza e montone) e con lo stesso auspicio

Il 21 novembre a Venezia si festeggia, dal 1630, la fine della peste che colpì in Italia un milione di persone. L’epidemia è quella narrata in I promessi sposi, ma a Venezia in questa data d’autunno si celebra la sconfitta della Morte Nera e si festeggia la Madonna della Salute (in quella chiesa costruita proprio per ringraziare la santa della fine della pestilenza). Lo si fa in cucina, con una zuppa a base di verze coltivate nei campi e negli orti della laguna e di poca carne di montone affumicato e stagionato che arrivava via nave dalla vicina Dalmazia. Un piatto che a noi appare povero ma che allora, e dopo un anno di strazio, era il meglio che si potesse mettere in tavola.
Ingredienti locali, di stagione, e poca carne, conservata con metodi tradizionali e mangiata in un giorno speciale: la chef stellata Chiara Pavan del ristorante Venissa, sull’isola di Mazzorbo a Venezia, l’ha rispolverata perché assolutamente attuale, nella filosofia di utilizzo della materia prima e perché aspettiamo tutti con ansia di celebrare la fine della pandemia di questo 2020; e magari uscirne migliori davvero.
La ricetta che ha portato sul palco di Identità di Champagne by Veuve Clicquot alla manifestazione Identità Golose 2020 (che quest’anno si è trasferita online) è stata questa. Perfettamente in linea con il tipo di cucina che propone a Venissa, e in abbinamento a un grande champagne come La Grande Dame 2008 a base pinot nero.


La cucina ambientale di Venissa

La cucina di Chiara Pavan guarda al territorio, e per territorio a Mazzorbo significa l’orto che coltiva in mezzo alla laguna con erbe, verdure e raccogliendo le piante spontanee che crescono nell’erba. «La cucina che facciamo cerca di essere l’espressione del luogo in cui ci troviamo a lavorare, cioè la laguna e ancora più in particolare la tenuta Venissa. Il primo obiettivo è che l’ospite che si siede alla nostra tavola percepisca una forte coerenza tra il luogo che sta visitando e i piatti che mangia. La nostra cucina ha determinate caratteristiche in questo luogo, e sicuramente non avrebbe lo stesso stile se ci trovassimo a cucinare altrove. È, cioè, una cucina fortemente ambientale. Il termine ambientale è calzante in duplice senso: da un lato perché appunto descrive la dipendenza da parte di uno stile di cucina dall’ambiente che la circonda e dall’altro perché denota l’attenzione maniacale e oltremodo attuale per la questione ambientale».
Tutto ha un sapore speciale, sapido e quindi amplificato, che nel piatto si traduce nell’uso dei vegetali come protagonisti. «Il vegetale è, di fatto, il grande protagonista del nostro menu. Talvolta, anche il pesce è solo l’accompagnamento del vegetale, fungendo da texture. Il vegetale è protagonista dei nostri piatti anche (e forse in primis) per una “questione ambientale”. Crediamo infatti che la tendenza a mangiare sempre di più vegetale sarà e dovrà essere dominante in futuro. Una dieta ricca di proteine animali (possibile solo grazie agli allevamenti che sono tra le prime cause del global warming) non sarà più sostenibile a livello ambientale e saremo (o i nostri figli saranno) costretti a rivolgerci prevalentemente ai prodotti della terra».

La verza diventa protagonista

Nella sua ricetta per la liberazione dalla pandemia, liberamente tratta dalla Castradina Sciavona, la verza viene cotta al forno intera, poi viene pressata al torchio, come nella classica cucina francese si faceva con le carni. «Si ricava così il succo, con cui viene fatta una salsa riducendolo e aggiungendoci succo di verza fermentata. La verza resta compatta, con una consistenza quasi carnosa, viene tagliata a pezzi, rosolata con burro e garum di montone». La verdura viene cotta in padella come un classico pezzo di carne, e per insaporirla viene usata una preparazione a base di montone, fatta al ristorante con l’obiettivo di usare ogni parte dell’animale. «Lo scarto in cucina è nullo. La tecnica delle fermentazioni, predominante in questi ultimi menu, ci ha permesso quindi di ottenere un duplice risultato: ottenere gusti sapidi e acidi, molto consoni al modo in cui noi vogliamo descrivere l’esperienza della laguna attraverso il cibo e non fare scarto». La verza viene servita quindi con un battuto di montone crudo, la salsa acida e dolce a base di verza, montone essiccato grattugiato e crescione del suo orto lagunare.

Undicesimo comandamento: non sprecare

Questo piatto non esiste in menu, ma alcuni elementi richiamano altre preparazioni care a Chiara. «Facciamo un garum di sarde per condire gli spaghetti, prodotto grazie agli scarti delle sarde (teste e lische), e produciamo altri garum di scarti e anche, ad esempio, un miso di pane (con gli scarti del pane vecchio). Tutta la frutta e la verdura che produciamo in eccesso ha trovato, nelle fermentazioni, un ottimo e antico metodo di conserva, che non necessita peraltro dell’uso di plastica e consumo di energia elettrica per il mantenimento nei freezer. Le fermentazioni vegetali sono inoltre, secondo noi, un grande cibo del futuro, perché ricche di fermenti lattici che vanno a nutrire la flora batterica del nostro organismo (chi studia il microbiota intestinale in medicina, sostiene che una dieta attenta alla flora batterica è la base della medicina preventiva e noi ci crediamo!)».
Nella speranza che da questa pestilenza ne usciremo migliori, almeno in cucina.

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