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Un piatto di pasta rende felici? Lo dice la macchina della verità

La Cucina Italiana

Un piatto di pasta rende felici? Sembrerebbe di sì. Non a caso secondo il World Happiness Report 2022, che ogni anno realizza una classifica sui Paesi in cui le persone si sentono più felici, l’Italia è al 31° posto (in testa Finlandia, Danimarca e Islanda), in un ranking che comprende 146 Paesi. E la nostra buona tavola avrebbe un peso. 

Come reagisce il cervello quando si mangia la pasta? Lo studio

Pasta uguale a buonumore: lo studio 

Vi sembra banalmente un luogo comune? Ecco la prova scientifica: si tratta di uno studio italiano, del Behavior & Brain Lab della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, realizzato per i pastai italiani di Unione Italiana Food. È la prima volta, per capirci, che la ricerca indaga la sfera emotivo-gratificatoria per capire come, quanto e perché siamo felici quando mangiamo un piatto di pasta, tracciando cosa si “accende” nel nostro cervello di fronte a una Carbonara, Amatriciana e simili. 

Per farlo, i ricercatori della Libera Università dello IULM hanno usato la tecnica del brain tracking, una tecnica simile alla macchina della verità (ovvero l’analisi delle espressioni del volto, delle attivazioni cerebrali legate alle emozioni, della variazione del battito cardiaco e della microsudorazione), su un campione di 40 soggetti (20 donne e 20 uomini) di età compresa tra i 25 e i 55 anni e senza allergie o intolleranze alimentari. Lo studio ha così individuato il tipo di reazione emotiva e il relativo grado di coinvolgimento dell’assaggio di un piatto di pasta, in comparazione ad alcune attività preferite come ascoltare una musica coinvolgente o assistere alla finale delle Olimpiadi.

Gateau, gattò o gatò di patate: come si dice in modo corretto?

La Cucina Italiana

Sformato a base di patate dal cuore filante e la caratteristica crosticina croccante gratinata, il gateau di patate può essere un piatto unico, un contorno o un cibo da aperitivo. Ma qual è l’origine del suo nome?

Gateau o gattò di patate? Ecco l’origine del nome

Il gateau di patate nasce in Francia nel ‘700 e come suggerisce la traduzione del nome si tratta di una letterale torta di patate fatta di soli 4 ingredienti: patate, sale, pepe e burro. Nel 1768 i cuochi francesi vennero chiamati dalla regina Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, nel Regno di Napoli affinché la regnante potesse gustare le loro prelibatezze. La brigata di cucina tuttavia era mista: i cuochi partenopei lavoravano a stretto contatto con i cuochi francesi, i cosiddetti monsieurs, che ben presto vennero soprannominati monzù in dialetto napoletano.

A essere soprannominati però non furono solamente i cuochi francesi. Ben presto infatti i cuochi napoletani rivisitarono la ricetta del gateau di patate farcendolo con ingredienti tipicamente italiani quali la mozzarella fior di latte, il salame napoletano e il prosciutto cotto e lo rinominarono gattò di patate napoletano. Qualcuno in Italia lo chiama anche gatò di patate che è un’ulteriore italianizzazione del termine francese, un po’ come successe con la storia del ragù.

Concludendo quindi, si può dire che tutti e tre i termini sono corretti, dipende dal contesto in cui vengono utilizzati, magari al ristorante troveremo scritto gateau sul menù, mentre in un contesto meno formale lo troveremo scritto come gattò.

Gattò di patate: le varianti

Per provare a cucinare il gattò di patate napoletano consultate la nostra ricetta originale del gattò di patate che prevede tra gli ingredienti anche parmigiano reggiano e uova, mentre se amate sperimentare vi consigliamo il gattò di patate e cotechino e il gattò di patate e carote.

Per la forma da dare al vostro gattò potete decidere: c’è chi lo fa alto e chi basso, chi rotondo come una vera e propria torta e chi rettangolare. L’importante è che la superficie sia dorata e croccante e il ripieno bello ricco! Considerate infine che il gattò è un piatto che può essere preparato in anticipo e che potete conservare in frigo sia crudo, già assemblato in teglia pronto da cuocere, sia cotto. Il giorno dopo, riscaldato in forno o al microonde è ancora più buono.

Sfogliate la gallery per altri suggerimenti:

Perché si dice «Giovedì gnocchi»

Gnocchi, melanzane e feta

«Giovedì gnocchi». Questa espressione, che apparentemente sembra solo una simpatica affermazione, in realtà trae origine dal detto popolare: «Giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa». Arriva dalla cultura popolare romana o, per meglio specificare, trasteverina.

Origini religiose

Il detto nacque per l’esigenza delle classi più povere di razionare il cibo e ottimizzarlo al meglio scandendo così i pasti della settimana. L’uso comune di preparare gli gnocchi di giovedì era dovuto alla necessità di mangiare un piatto sostanzioso e calorico in vista del giorno successivo, il venerdì, che da tradizione cattolica è “di magro”, ovvero di digiuno o astensione dal consumo di carne.

Così tradizionalmente a Roma di venerdì si mangiavano piatti a base di pesce, come ad esempio ceci e baccalà, piatto ancora oggi servito nelle osterie romane più antiche, che viene proposto rigorosamente al quinto giorno della settimana.

Il sabato poi era la giornata dedita alla macellazione della carne in vista del giorno festivo successivo. I ceti meno abbienti, che non si potevano permettere i tagli più nobili come bistecche, filetti o cosce, si compravano il cosiddetto “quinto quarto”, gli scarti come interiora, frattaglie e trippa. Questi ingredienti, cucinati sapientemente dalle donne di casa, diventavano una vera festa in tavola per tutta la famiglia! Basti pensare a succulenti piatti della tradizione come la trippa alla romana e la coda alla vaccinara.

Una poesia… del palato

Le origini del detto popolare probabilmente sono da ricondurre a metà Ottocento, poiché compaiono in una poesia in romanesco di un autore anonimo, che, oltre ai già citati giorni, consiglia i piatti anche per il resto della settimana: lunedì coda, martedì fagioli con le cotiche, mercoledì stufato e la domenica supplì di riso (citiamo testualmente) da «magnettene cento e dico poco!».

Sicuramente il costume di cucinare gli gnocchi di giovedì entrò poi a far parte della cultura gastronomica italiana durante il dopoguerra, quando le provviste ancora scarseggiavano ed era necessario riuscire a sfamare tutta la famiglia al meglio, cercando di spendere il meno possibile. Ricordiamoci anche che un tempo la maggior parte delle persone faceva lavori di fatica e quindi l’alimentazione doveva essere nutriente e calorica, a differenza di oggi. Quindi gli gnocchi erano preferiti proprio per essere un piatto abbondante ed energetico, che potesse “riempire” il più possibile.

La ricetta antica prevedeva di farli con acqua, farina, poche uova e tante patate. E voi come fate gli gnocchi? Oggi è giovedì, quindi: «Giovedì gnocchi».

Ecco alcune ricette per ispirarvi

ABBIAMO CUCINATO PER VOI

Gnocchi al pecorino con fave e pomodorini

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Gnocchi di ricotta, friggitelli e cipolla rossa

ABBIAMO CUCINATO PER VOI

Gnocchi di ricotta, verdure e prosciutto

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Gnocchi ripieni al culatello e coriandoli

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Gnocchi con sugo di faraona

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Gnocchi di albicocche

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Gnocchi, melanzane e feta

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