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Gaufre de Liège, il gusto del Gelato Day 2024

La Cucina Italiana

Sarà la “Gaufre de Liège” il gusto protagonista del Gelato Day 2024. Appuntamento come sempre il 24 marzo per una grande festa che in tutta Europa coinvolgerà professionisti e appassionati. Un popolo in costante aumento, e a confermarlo anzitutto il dato italiano: il giro d’affari del 2023 di coni e coppette – secondo i dati forniti dagli Longarone Fiere Dolomiti e Artglace, organizzatori della Giornata Europea del Gelato Artigianale – nonostante la crisi è incrementato dell’11%. Si punta ad aumentare, anche diffondendo la cultura del gelato: il Gelato Day serve anche a questo, e anche per questo sarà gemellato con Gelato a Primavera, l’iniziativa che ad aprile, invece, coinvolgerà i bambini delle scuole d’infanzia e primarie con assaggi gratuiti in gelaterie di tutta Italia.

Cos’è la gaufre e come sarà il gelato alla gaufre

Non vediamo l’ora di assaggiare la gaufre in versione gelato, assolutamente inedita. Questa confortante cialda, croccante fuori e morbida dentro, è antichissima: è nata nell’antica Grecia ma è stata perfezionata nel medioevo proprio Belgio. Secondo la leggenda è stata servita per la prima volta con lo zucchero al posto del miele in occasione del matrimonio della figlia del Principe della città di Liegi. Per il Gelato Day sarà trasformata in gelato diventando una crema base neutra aromatizzata alla vaniglia e cannella e variegata al burro salato con accompagnamento di una cialda di gaufre per guarnire.

Il concorso per il miglior gelato al Sigep

Anche se al Gelato Day mancano ancora circa due mesi, tra poco sapremo già quale sarà la crema migliore, dato che si stanno facendo le prove generali al SIGEP-The Dolce World Expo, il Salone Internazionale di Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè di Italian Exhibition Group in corso a Rimini fino al 24 gennaio. Tra gli eventi nell’evento, il 22 gennaio, ci sarà infatti il concorso “Gelato d’Autore” promosso da Artglace, G.A. (Comitato Nazionale per la difesa e la diffusione del gelato artigianale e di produzione propria) e A.I.G. (Associazione Italiana Gelatieri) che proclamerà la migliore interpretazione della gaufre de Liège degli artigiani che parteciperanno.

Perché la gaufre è anche (un po’) italiana

A scegliere la gaufre è stato il Belgio perché, come sempre succede per il Gelato Day, ogni anno la decisione spetta a uno dei Paesi che partecipano e che inevitabilmente propone una sua specialità. Noi però la gaufre la sentiamo anche nostra e particolarmente simbolica: fa parte della cultura culinaria di tante famiglie italiane emigrate in Belgio, in particolare tra gli anni ’40 e 50 per lavorare nelle miniere. Tra loro c’era anche mio nonno Gino, che in quelle miniere ci ha lasciato la vita come troppi prima e dopo di lui.

Gli emigrati italiani in Belgio

Era sposato a sua volta con la figlia di emigrati, un piemontese e una veneta, con altri figli e figlie a loro volta, e una lunga discendenza che continua a vivere proprio tra Liegi e dintorni. Una grande famiglia di origini italiane, come quelle di tanti che hanno portato le proprie tradizioni e che ha fatto proprie quelle del Paese. Le gaufre sono una delle più piacevoli. Un rito che ogni giorno si vive tra le strade di Liegi con quel profumo di zucchero che arriva dai chioschi in ogni della città, e nelle case, dove si preparano per le colazioni della domenica, e per le merende dei bambini. La mia bisnonna, Regina, me le preparava sempre durante le mie estati a casa con lei a Liegi: trascorrevamo i pomeriggi mangiando gaufre e giocando a Scala 40. Ho conservato la sua ricetta, che riporto qui. Sarebbe contenta di sapere che le sue merende sono state anche l’occasione per raccontare una storia di vita, di tanti.

La ricetta delle gaufre della mia bisnonna

Ingredienti:

  • 250 g di farina 00
  • 60 g di zucchero
  • 250 ml di latte
  • 80 g di burro fuso
  • 2 uova
  • Una bustina di vanillina
  • Un pizzico di sale
  • Un cucchiaino colmo di lievito per dolci
  • Cannella e zucchero per guarnire (o altro a piacere)

Procedimento:

  1. Sbattete le uova in una ciotola.
  2. Aggiungete lo zucchero e mescolate.
  3. Proseguite con il burro, il latte, un pizzico di sale continuando a mescolare con un frullino.
  4. A seguire la farina setacciata, la vanillina e il lievito.
  5. Coprite la ciotola con della carta trasparente e fate riposare in frigo circa mezz’ora
  6. Riscaldate la piastra per gaufre, versate un mestolo scarso di impasto nell’apposito stampo o comunque la quantità che serve per riempirlo lasciando circa due millimetri sui bordi in modo che non fuoriesca.
  7. Fate cuocere finché l’impasto diventa ben dorato e croccante: il tempo dipende dalla piastra, dai 2 ai 4 minuti in genere
  8. Servite le gaufre calde con zucchero e cannella.

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Ciro Di Maio, non solo la pizza Mano de Dios per Maradona. Intervista

La Cucina Italiana

Lo raggiungiamo in una delle poche, pochissime, pause che si prende dal lavoro. «Entro in pizzeria alle 9 di mattina e esco all’una di notte. Non prendo un giorno da mesi e sono felice così», dice. E così è sempre stato: 33 anni di cui 19 trascorsi a impastare, Ciro Di Maio ha cominciato a fare pizze da piccolissimo, a 14 anni, perché già allora ha avuto bisogno di un’altra strada. Un’alternativa dopo un’infanzia complessa nelle palazzine popolari dei sobborghi di Napoli con un padre con un passato burrascoso. Un padre che poi però ha trovato a sua volta una nuova strada e gli ha dato l’esempio, mostrandogli che una vita migliore passa anche dall’aiutare chi ha bisogno. Ciro ora a suo modo fa lo stesso con i detenuti, con i ragazzi che vivono nei quartieri disagiati in cui è cresciuto lui, con chi bussa alla sua porta. Insegna un’arte che per tanti è ancora la via del riscatto, formando nuove generazioni di pizzaioli a cui spiega che la pizza può essere anche un modo per raccontare se stessi, le proprie origini. Come ha fatto lui con la Mano de Dios, in fondo. Ne abbiamo parlato in questa intervista:

L’intervista al pizzaiolo Ciro Di Maio

Oltre che su Instagram, la pizza Mano de Dios è piaciuta nella realtà?
«Sta andando molto bene, ai clienti piace, un po’ perché è scenica un po’ perché è buona. La chiedono tanti napoletani che abitano a Brescia, ma anche tanti bresciani».

La citazione calcistica è immediata per tutti?
«Certo, è impossibile non conoscere Maradona. È stato un idolo. Io sono cresciuto guardando Maradona. Ricordo ancora che quando andavo a scuola sul bus trasmettevano i video dei suoi gol. Maradona non è stato solo un calciatore. È stato amore per il calcio, per la vita, per la gente. Ha unito unito Napoli e l’Argentina. Una volta ho chiesto a un cliente argentino “perché voi siete così forti a calcio?”, e lui ha risposto “perché abbiamo sangue italiano”».

Hai altre pizze particolari come questa in menù?
«Noi facciamo la classica ruota di carro, in tutti i gusti classici e con i prodotti tipici campani. Questa Mano de Dios è unica nel suo genere non solo per la forma, ma anche per la cultura che racchiude. Per me è un modo per raccontare Napoli».

Cosa ha significato per te portare l’arte della pizza napoletana fuori da Napoli?
«Per me ha significato tante cose: non solo far conoscere la pizza verace, ma anche la vera cultura napoletana. Ci sono ancora tanti stereotipi, ingiustificati, su Napoli e chi ci abita, e che con il nostro lavoro possiamo contribuire a smontare. Napoli è bella e brutta allo stesso tempo, come le persone che possono essere buone e al contempo cattive. Di sicuro se non fossi nato a Napoli non sarei quello che sono. C’è un detto che dice che “O napulitan se fa sicc’ ma nun mor“, cioè “il napoletano può diventare pelle e ossa ma non morire”. Sappiamo resistere, anche nella povertà assoluta. Come tutti abbiamo da imparare, ma credo che l’unicità dei napoletani stia anche nella capacità di rialzarsi. Un po’ come ho fatto io».

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Il pan meino, chiamato anche pan de mej in dialetto milanese, è un dolce tipico lombardo che ha origine nella cucina contadina della regione. 

Si dice che la sua preparazione fosse legata al 23 aprile, giorno di San Giorgio: originariamente il pan meino era a base di farina di miglio e fiori di sambuco, ma negli anni la ricetta ha subito diverse variazioni e interpretazioni.

Oggi si tende a utilizzare in particolare la farina di mais, ma la consistenza del pan meino, friabile, è rimasta la stessa.

Provate a realizzarlo con la ricetta di Carlo Cracco che prevede l’utilizzo dell’anice al posto dei fiori di sambuco e gustatelo con i consigli dello chef: al mattino con il latte, al pomeriggio con panna al caffè o dopo cena con un bicchiere di passito.

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