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Gelato: meglio in cono o coppetta?

Gelato: meglio in cono o coppetta?

Una delle ricchezze del gelato è proprio la capacità di accontentare i gusti di un ampio spettro di persone. Dall’infanzia fino all’età adulta, mangiare il gelato, soprattutto nel periodo estivo, è uno dei piaceri irrinunciabili. Meglio se artigianale, fresco e realizzato con ingredienti di qualità. Ma cosa scegliere tra cono o coppetta

Sembra una domanda banale, eppure non è affatto così. Sebbene per molti si tratti di abitudini consolidate (chi sceglie la coppetta non sceglie il cono e viceversa) dietro questa scelta si nasconde in realtà un mondo, una vera e propria filosofia del gelato. Per capirne di più abbiamo chiesto a Marco Radicioni che con Otaleg ha creato una delle gelaterie più importanti del panorama romano (e italiano). Gusti realizzati secondo un metodo di lavorazione lento e artigianale e talvolta con combinazioni inaspettate, materie prime scelte con cura e stagionalità sono alcuni degli ingredienti che hanno fatto di questo indirizzo un porto sicuro per gli amanti del gelato. Già, ma dove si nasconde il vero amante del gelato, il professionista della degustazione: dietro il cono o la coppetta? 

Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Per chi viaggia alla ricerca dei luxury food (dall’inizio di giugno si potrà tornare a farlo), la gelateria Mokambo è una tappa irrinunciabile. Qui si può gustare lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto solo con gelato di zafferano iraniano

Sentirsi reali a tavola è possibile. Ce lo ha insegnato Gualtiero Marchesi con il suo Riso, oro e zafferano. Ma una foglia d’oro da sola, senza materie prime eccezionali, è niente. Lo sanno bene Franco, Giuliana e Vincenzo Paparella che nella loro gelateria Mokambo, a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, hanno creato lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto con gelato allo zafferano, panna e oro alimentare. E non è quest’ultimo, l’ingrediente più costoso.

Gelateria Mokambo: dai Borbone alla quarta generazione dei Paparella

La storia di Gelateria Mokambo inizia nel 1910, quando Luigi Marseglia, garzone prima, poi capo di pasticceria del Caffè Gambrinus di Napoli, si trasferisce a Ruvo di Puglia, per seguire la sua sposa pugliese. «È lui è il pazzo che ci ha infettati di questa malattia», racconta Franco Paparella». Qui apre il suo Caffè Gambrinus, uno dei bar simbolo del secolo scorso in città, e prende sotto la sua ala Vincenzo Paparella senior. Proprio lui, l’8 novembre 1967, in corso Carafa 56, apre il Bar Mokambo, dove vivono le ricette dell’arte bianca di Marseglia. Nel locale lavorano Franco e Antonio, i due figli di Vincenzo. Alla sua morte, i fratelli si dividono: Antonio resta nel Bar Mokambo e Franco intraprende un’avventura nel mondo della ristorazione. Negli anni Novanta il bar chiude, ma la nostalgia condivisa per quel gelato eccezionale non si placa. Galeotto fu Facebook. Una utente pubblica un post in cui ricorda quel locale e le sue delizie. Il messaggio cade sotto gli occhi dei fratelli Giuliana e Vincenzo Paparella, figli di Antonio, che iniziarono a fantasticare sul riaprire la gelateria di famiglia. Ma la chiave di tutto era convincere zio Franco, appassionato di donne e motori, ma soprattutto abile maestro gelatiere, a rimettersi in pista. Ce la fanno e riaprono alla fine dell’estate 2016, «una scelta imprenditoriale vincente!», scherza Giuliana. Vincenzo si occupa del marketing, sua sorella “ruba” il mestiere al maestro di lungo corso e si occupa del servizio e della produzione, mentre ancora oggi zio Franco – come lo chiama chiunque entri nel mondo Mokambo – si sottrae ai fotografi e non ama la ribalta. Ma fa un gelato che marchia a fuoco le papille gustative.

Otto gelati e ingredienti “d’Altri Tempi”

Nei pozzetti ci sono otto gusti (elencati da Giuliana rigorosamente in ordine cromatico): Crema del Re 1840 (la ricetta del 1840 tramandata da Luigi Marseglia e premiata dal Re Ferdinando II di Borbone), Torrone croccante di mandorle (con frutti locali, «Ruvo è da sempre un territorio vocato per la coltivazione delle mandorle», spiega Giuliana), Pistacchio di Bronte DOP, Nocciola delle Langhe IGP, Gianduia IGP, Cioccolato Puro (ottenuto da venti fave di cacao differenti, selezionate in giro per il mondo; viene proposto il gusto monorigine o creato con un blend di fave), Tartufo (cioè la variante speziata del cioccolato). Alcuni gusti ruotano durante l’anno: c’è il Caffè superior, la Granita di Limoni di Sorrento IGP (disponibile da maggio a settembre), il Gelato di Gelsi rossi, quello alla Mela cotogna, e il Nonna Lena, fatto con fichi secchi, scaglie di mandorle e pepite di cioccolato puro 100 per cento). Ogni cono viene guarnito con panna («rigorosamente fresca, di origine animale»), granella di mandorle, granella di Pistacchio di Bronte DOP, di Meringhe home made e di Fave di cacao in abbinamento a quelle usate per il gusto al cioccolato disponibile nel pozzetto in quel momento.

Dalle Ricette di Marsiglia al Libro di Ciocca passando allo Zafferano Iraniano

Nei primi anni del secolo lo stesso Luigi Marsiglia collaborò con l’invio di alcune delle sue ricette alla stesura del volume Il Pasticciere e Confettiere Moderno, scritto da Giovanni Ciocca, probabilmente uno dei più famosi pasticceri del XX secolo. Alcune di queste ricette, prevedevano l’utilizzo di ingredienti esclusivi come lo zafferano, appunto, in quel periodo comune solo nelle cucine delle più importanti famiglie. La diffusione di questo ingrediente “al grande pubblico” risale a partire dal 1860 grazie all’introduzione a opera del cavalier Giuseppe Alberti del liquore Strega. È infatti questa spezia che conferisce il caratteristico colore gallino al liquore di Benevento.

Scettro del Re.
Scettro del Re.

Perché questo è il miglior zafferano

Lo zafferano viene valutato in base a 3 parametri: il potere colorante, dato dalla crocina, quello odoroso, dato dal safranale, e quello amaricante, dato dalla picrocrocina. I valori in termini comparativi dello zafferano coltivato in Italia e quello utilizzato presso la gelateria Mokambo parlano chiaro. Lo zafferano iraniano scelto dal team Paparella contiene 233 nm di crocina, quindi ha un colore più intenso, rispetto a quello noto come 1 cat. in ISO3632, che ne ha 190 nm. La quantità di safranel nello zafferano di 1 cat. in ISO3632 è di 70 nm; quello iraniano utilizzato da Mokambo arriva a 100 nm. Quindi ha un profumo più intenso. La picrocrocina dello zafferano di 1 cat. in ISO3632 si attesta tra i 20 e i 50 nm, mentre quello iraniano arriva a 35 nm. «La principale differenza tra lo zafferano made in Italy e quello che usiamo noi è la nota amara, molto marcata, quel sapore metallico della spezia», spiega Giuliana Paparella. «Il primo assaggio del nostro gelato allo zafferano è sì leggermente metallico, ma poi inizia subito a liberare note agrumate e floreali. Se lo zafferano italiano costa un terzo rispetto a quello iraniano un motivo c’è». Il prezzo della spezia italiana si attesta attorno ai 20 euro al grammo, contro i 60-70 euro di quello proveniente dall’Iran.

Un’amicizia preziosa

L’arrivo dell’attuale zafferano iraniano tra le mani di zio Franco e Giuliana è merito di Giuseppe Ladisa e Yuki D’Innocenzo, due avventurieri glocal di Bari, che nel proprio tempo libero vanno a caccia di chicche gastronomiche e no. Durante una domenica in giro tra i colli murgiani, Yuki scova la gelateria Mokambo su TripAdvisor. «All’epoca aveva solo 15 recensioni», ricorda la ragazza di origini italo-giapponesi. «Le ho lette tutte, attentamente, e ho detto a Giuseppe “Perché non facciamo un salto a Ruvo?”». Combattendo lo scetticismo, i due si dirigono verso la cittadina del nordbarese e si innamorano del gelato, della simpatia dei Paparella bros e della sagacia di zio Franco. Tornano molte altre volte. Durante uno dei loro assaggi, raccontano di essere in procinto di partire verso l’Iran. Giuliana non si fa sfuggire l’occasione e chiede a questi due clienti ormai amici di portarle un po’ di zafferano “vero”. Durante il viaggio Yuki e Giuseppe si informano sulla zona di produzione e si tengono in contatto con la gelateria. Scovato il prodotto giusto («perché in Iran il livello di contraffazione è altissimo», spiega Yuki), lo acquistano e lo consegnano ai gelatieri, che ne ricavano un gusto davvero unico. «In Iran fanno il gelato allo zafferano con pezzi di pistacchio o con l’acqua di rose. Ma ci mettono un sacco di gomma di guar, che lo rende tipo una chewing gum», spiega Giuliana, che ha fatto molto di meglio.

Gli ingredienti

Per fare lo Scettro del Re servono latte appena munto (proveniente dalla zona di Altamura, più precisamente dall’Azienda Agricola Santa Maria dell’Assunta, nel Parco nazionale dell’Alta Murgia), uova, zucchero e, naturalmente, lo zafferano. Per assaggiarlo, bisogna prenotare il gusto con tre giorni di anticipo, necessari per organizzare la lavorazione. La sola infusione dello zafferano si aggira attorno alle quattro ore. «Usiamo la parte alta, più nobile del pistillo più alto (ogni croco ne ha tre, ndr.), il sargol», spiega Giuliana. Inoltre, lo zafferano deve essere utilizzato a una temperatura non troppo alta. Dopo una mantecazione di 15 minuti nella storica Carpigiani SED L20c del 1972, il gelato allo zafferano è pronto per essere montato sul cono. Dopo aver farcito il fondo della cialda con panna e tre Pistacchi di Bronte DOP, si aggiunge il gelato e un velo di panna fresca. Non sarebbe un vero scettro regale senza un po’ di metallo prezioso: infatti, chiude la composizione un foglio di oro alimentare e qualche scaglia di zucchero caramellato. Lo Scettro del Re costa 70 euro a cono. Lo si può acquistare solo su ordinazione e per un minimo di due coni. Un’intera vaschetta da mezzo chilo costa tra i 450 e i 500 euro. Come per tutti gli altri gusti, si può ricevere anche a domicilio. L’assaggio è elegante, vellutato. Al contatto con il palato, i sentori agrumati liberano l’immaginazione: siamo nelle Mille e una notte e l’Oriente si può quasi toccare, anche da un paesino della Puglia.

Testo Stefania Leo

Gelaterie a Roma: cono o coppetta in 10 indirizzi top

Gelaterie a Roma: cono o coppetta in 10 indirizzi top

Artigianali, attente alle intolleranze e gourmet, le gelaterie di Roma sono una fresca scoperta a base di frutta, creme e gusti salati. Ecco dove andare per mangiare un gelato davvero buono

Quando sale la temperatura, la voglia di gelato scatta prepotentemente e non si può non darle ascolto. Tuttavia è difficile orientarsi a Roma, una città in cui le gelaterie negli ultimi anni hanno aperto più o meno al ritmo dei negozi di sigarette elettroniche. Fra gelaterie storiche, brand che si sono imposti come sinonimo di buoni prodotti e piccole realtà artigianali che lavorano bene, ecco una piccola guida per trovare il cono più gustoso e soddisfare il desiderio più fresco dell’estate.

Fatamorgana

Finalmente una donna, Maria Agnese Spagnuolo, a capo di una gelateria che ha conquistato Roma a buon diritto: ben sette punti vendita, pochi gusti ma semplici, con qualche picco di creatività come la Baklava e grandi cavalli di battaglia come il gusto cheesecake e il Bacio del principe (bacio e nocciola insieme). Qualcuno potrebbe lamentarsi che i gelati non sono di grandi dimensioni, ma in compenso il gusto ci guadagna, insieme alla qualità della materia prima rigorosamente naturale. Molto buona anche la cialda utilizzata per i coni.

Gelateria dei Gracchi

Tutto inizia in via dei Gracchi, anche se poi si segnalano le aperture di viale Regina Margherita, via di Ripetta e via San Pantaleo. Anima di questa gelateria è Alberto Manassei, mastro gelataio che ama le cose semplici ma ben fatte. Pochi picchi di creatività, quindi, ma solide basi per un gelato che non lascia delusi. Attenzione ai colori per gli intolleranti: bianco con latte, blu senza, giallo con uova. Non vi perdete il pistacchio di Bronte (c’è chi pensa che sia il migliore della città), ma anche la gianduia con nocciole intere dice la sua.

Claudio Torcè

Claudio Torcè ci mette il nome e anche la faccia. D’altra parte è riconosciuto come uno degli artisti del gelato capitolino, nonché maestro di altri colleghi sparsi per le vie della capitale. Il posto più indicato per assaggiare le sue creazioni è via dell’Aeronautica, in zona Laurentina, dove si trova il laboratorio principale, da cui partono i gusti per il punto vendita di viale Aventino. Ridimensionatosi dopo aver aperto 8 punti vendita (ha dichiarato in un’intervista al Gambero Rosso che “il gelato non è replicabile all’infinito”), Torcè ha appena affrontato un importante restyling, sia del logo che dei contenuti e in particolare del gelato, che ha dovuto ribilanciare per rispondere alla sua scelta di campo di sostituire lo zucchero con il fruttosio e latte e panna solo con prodotti ad alta digeribilità, per venire incontro a tutti.

La Gourmandise

Siamo in zona Monteverde, quartiere che riserva non poche chicche gastronomiche. Fra queste il gelato di questo pesarese trasferito a Roma, Dario Benelli, che si diverte a inventare gusti innovativi e fa un utilizzo intelligente delle spezie come lo zafferano, il finocchietto o la noce moscata, per dare un tocco originale e classico allo stesso tempo. Per venire incontro agli intolleranti, si utilizza latte di capra oppure in alternativa ci sono i gusti senza latte, inoltre la maggior parte dei gusti sono gluten free.

Neve di Latte

La novità è che ha aperto il secondo punto vendita a Prati, vicino a piazza Cavour, mentre la sede a due passi dal Maxxi rimane un punto di riferimento per chi volesse abbinare arte e cibo. L’artigianalità e la ricercatezza degli ingredienti, possibilmente biologici certificati, Dop e Igp, zuccheri non raffinati, ma anche l’acqua dei sorbetti che proviene dalle montagne. Il gelato che porta il nome della gelateria, Neve di Latte, è in pratica un fiordilatte con una forte presenza di vaniglia.

Tedesco e Hauser

La tedesca è lei, lui invece è romano, che nel cognome nascondeva evidentemente un destino. Insieme hanno dato vita a una piccola realtà di quartiere in via di santa Maria Ausiliatrice, non lontano dal centro commerciale Happio. Teutonico il rigore nella ricerca della materia prima e nel bilanciamento dei gelati, fra cui si segnalano il pistacchio salato, la nocciola del viterbese, lo zenzero. Ottima anche la cialda utilizzata.

Otaleg!

Per chi non l’avesse capito, il nome è gelato scritto al contrario, ma è forse l’unica stranezza di questa gelateria solidissima che di recente ha chiuso definitivamente l’originario laboratorio di viale dei Colli Portuensi per concentrarsi sulla seconda creatura di Marco Radicioni, quella di piazza San Cosimato. Anche se il laboratorio si è ristretto, le ambizioni di produrre un gelato di altissima qualità non si sono ridotte affatto e Marco Radicioni si conferma un “nerd” del gelato, che non usa semilavorati, ma parte dalla materia prima nuda per farla diventare gelato o sorbetto.

Punto Gelato & The Taste Gelato

Due nomi, un solo gelataio che ha rapidamente conquistato il cuore dei gourmet romani. Lui si chiama Günther Rohregger e viene da Bolzano, così come l’acqua che utilizza per i suoi sorbetti proviene rigorosamente dalle Dolomiti (Acqua Plose), così come le sue materie prime sono selezionate in modo da avere sempre prodotti freschi, senza nulla togliere alla stagionalità. Il punto vendita principale è proprio alle spalle del Pantheon, in piazza Sant’Eustachio, ma si possono trovare i suoi gelati anche in via dei due Macelli e via dei Pettinari.

Al Settimo Gelo

Ha da poco compiuto i vent’anni di attività, ma resta sempre un punto di riferimento per il quartiere Delle Vittorie in cui si trova. Il gelato di Mirella Fiumanò in tempi non sospetti già predicava di artigianalità e di ricerca delle materie prime. Tuttora la selezione è forte e ricade spesso su piccoli produttori, dalla nocciola del viterbese, ai Limoni “Verdelli Siciliani”. Nei sorbetti ci va almeno il 40% di frutta fresca e si segue il più possibile la stagionalità del prodotto.

Strawberry Fields – gelateria d’essai

Con i suoi due punti vendita, in via Tor de’ Schiavi e a Colli Aniene, Geppy Sferra si può definire un artigiano del gelato di frontiera. Orgoglioso della sua periferia, fa cultura del gelato a 360°, partendo dalle scuole elementari e medie, dove va a insegnare come si fa un buon prodotto artigianale, senza lasciare a casa l’etica. Le sue materie prime sono possibilmente biologiche e stagionali, la percentuale di frutta nei sorbetti altissima, il cacao proviene da agricoltura equa e solidale. Insomma, un gelato buono in tutti i sensi. Last but not least, nel punto vendita di via Tor de’ Schiavi Geppy ha recentemente lanciato la novità del gelato-bistrot, dove vengono serviti piatti salati in cui vengono utilizzati i gusti di gelato presenti al banco: ingredienti non salati che vanno tuttavia a contrastare gli altri elementi del piatto in un saliscendi di gusti, consistenze e temperature.

 

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