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Geolier, Sanremo, il rap e la (sua) pizza: dove assaggiarla

La Cucina Italiana

«I p’ me tu p’ me»: la stiamo cantando tutti la canzone di Geolier, il rapper napoletano che i bookmaker (e il pubblico) danno tra i favoriti di questa edizione del Festival di Sanremo. Un brano che non ti esce dalla testa, racconta di una storia che finisce e di due innamorati diventati estranei, del tempo perso e di quello che si sarebbe potuto guadagnare. Si è fatto notare subito anche perché tutto in dialetto napoletano e ricco di espressioni dello slang e – non solo per questo – è schizzato immediatamente in cima alla lista dei più ascoltati su Spotify.

Chi è Geolier

Geolier ha bucato lo schermo, arrivando nelle case di tanti che probabilmente prima del festival non sapevano chi fosse. 23 anni, il suo vero nome è Emanuele Palumbo. Geolier è la traduzione francese di “guardia carceriaria” o “secondino”, il soprannome con cui – nonostante non ci sia un diretto legame – a Napoli si chiamano gli abitanti di Secondigliano: il sobborgo a nord della città in cui Geolier è cresciuto e in cui vive ancora tutta la sua famiglia. L’artista arriva a Sanremo dopo due album di grande successo – “Emanuele” nel 2018 e “Il coraggio dei bambini”nel 2022 – e collaborazioni con artisti di calibro, da Emis Killa e Jake La Furia fino a Rocco Hunt, e poi – tra i tanti – Luché, Giorgia, Gigi d’Alessio. 

Geolier e la pizza

A Sanremo Geolier ha portato tutta Napoli: il dialetto, la città che fa il tifo per lui, e anche la pizza napoletana. Pare che i colleghi cantanti ne vadano pazzi: la sua prima pizzeria, temporanea solo per i giorni del festival, è proprio a un passo dall’Ariston. Il menù è breve ma essenziale, con pizze che prendono i nomi dei suoi grandi successi, e il suo. La “Pizza Geolier” è con salsiccia, provola e crema di zucca, mentre la pizza “I p’ me, tu p’ te” è con salsiccia e friarielli e la pizza “Il coraggio dei bambini” con würstel e patatine. Poi c’è la pizza “23 marzo” che è una margherita con pomodoro giallo, la pizza “Secondigliano” che è una marinara e, infine, non manca la pizza “Maradona”, che è una bianca con zucchine.

Dove e come assaggiare la pizza di Geolier

Oltre che per i fortunati che vivono a Sanremo e potranno sedersi ai tavoli della sua pizzeria pop up fino alla fine del festival, la pizza di Geolier sarà disponibile in altre città italiane: a Napoli (ovviamente), Milano e Roma. Arriva con il delivery, in esclusiva su Deliveroo, e nel menù ci sono anche crocché e montanare. In questo caso, peraltro, si andrà avanti anche qualche giorno oltre il Festival.

Sanremo, la pizza, il marketing, e non solo quello

Abile operazione di marketing? Di sicuro, e lo hanno già scritto in molti: associare un cantante napoletano al simbolo gastronomico napoletano per eccellenza, nonché il piatto in assoluto più amato e popolare del mondo, è stata una bella trovata. Va anche detto però che Geolier non è il primo tramite, né sarà l’ultimo, di iniziative come questa, dato che ce ne sono diverse e non solo legate alla cucina. A noi, forse romanticamente, piuttosto piace pensare che con questa idea della pizza Geolier abbia raccontato un’altra bella storia di riscatto. Perché per tanti napoletani – e ormai non solo loro – la pizza è stata e sarà anche questo: un’arte, e non di rado una via di fuga per una vita migliore.

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Tartufo bianco d’Alba: storia e curiosità

La Cucina Italiana

È il turno del tartufo bianco d’Alba. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontane dalla zona di produzione. Con il tartufo bianco di Alba la nostra cultura del cibo e del vino rimane imbattuta sul podio mondiale del gusto.

Tartufo bianco di Alba

Tartufo bianco, inglesi e francesi hanno fatto alleanza. Tempo sprecato: ventitré anni di ricerche sotto il cappello dell’istituto pubblico parigino Inrae per scoprire come coltivarlo e individuare i terreni calcarei e umidi più adatti nei due Paesi. Niente da fare, non esistono tecniche di coltivazione. Il Tuber magnatum Pico è solo italiano, più specificatamente del Piemonte, tra le Langhe, il Monferrato e l’Astigiano (senza sottovalutare quelli dell’Appennino tosco-emiliano e delle Marche intorno ad Acqualagna). Insomma, è un fungo ipogeo («Mozart dei funghi», secondo il musicista Rossini) che si trova solo in Italia, ai piedi di piante che danno nutrimenti e sali minerali. I circa 70mila cercatori – si chiamano cavatori o trifolari – custodiscono il segreto dei luoghi dove trovare i più profumati (oltre 120 le molecole volatili) e grandi. È una pratica fondata su esperienza, indizi naturali ed eventi intangibili, come le fasi lunari; perché, come diceva Cesare Pavese, nato non lontano da Alba, «alla luna bisogna credere». Essenziale è il fiuto di un buon cane. Il costo esorbitante dipende dall’annata (3mila euro al chilo il record raggiunto nel 2019) e dalla maggiore dimensione. Nel 1951 al presidente americano Harry Truman fu regalato il più grande mai trovato ad Alba: pesava 2,250 kg.

Carta d’identità del tartufo bianco d’Alba

TERRITORIO – È un fungo che cresce spontaneo sotto terra in aree caratterizzate da un equilibrio ecologico estremamente delicato. Nel 1933 il Times di Londra incoronò quello di Alba come il re dei tartufi.

STAGIONE – In base al disciplinare può essere raccolto e venduto dal 21 settembre al 31 gennaio, tenendo conto che ogni anno, secondo il clima, i tempi della maturazione possono cambiare. La raccolta avviene con l’ausilio di cani addestrati.

CONSERVAZIONE – Resiste per 5-6 giorni avvolto in carta assorbente, chiuso in un barattolo in frigo. Avendo struttura spugnosa rischia di assorbire umidità e di marcire. Si pulisce con uno spazzolino sotto l’acqua; si asciuga e si lascia riposare.

USO – Mai cuocerlo. Va affettato a lamelle sottilissime direttamente sulle pietanze, il cui calore aiuta a sprigionarne l’aroma.

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