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No alla carbonara modificata: da Londra a Roma, i commenti degli chef

La Cucina Italiana

È successo ancora: l’ennesima carbonara modificata ha scatenato una polemica, stavolta di dimensioni internazionali. Conferma quanto (poco) siamo disposti ad accettare variazioni di questo piatto così amato, e la dice lunga sul modo in cui gli stranieri concepiscono la cucina italiana, seppur votata come la migliore al mondo.

La questione riguarda “Bottega Prelibato”, ristorante dell’elegante quartiere di Shoreditch, a Londra, dove Gianfillippo Mattioli, romano doc, ha preso una decisione radicale. Ha scelto di eliminare la carbonara dal menù perché, dopo averla proposta nella sua versione canonica – uova, pecorino, guanciale e pepe -, si è ritrovato a dover fare i conti con così tanti feedback negativi e così tante richieste di carbonara modificata, da non poterne più.

«Tanti clienti non gradivano la ricetta originale, e in molti chiedevano aggiunte tipo pollo, funghi, o di togliere il guanciale. Abbiamo preferito non servirla», ha detto Mattioli al Tg1. Sì, se ne è occupato perfino il principale telegiornale italiano, a ruota dopo quasi tutti i quotidiani britannici, e qualche italiano, attratti da un post del ristorante su Instagram. Un post intitolato “Carbonara Gate” in cui Mattioli sostanzialmente ha raccontato la storia, sentenziando: «Sia chiaro che rispettiamo le preferenze dei nostri clienti, ma non vogliamo compromettere la nostra qualità e autenticità».

Perché la carbonara ci infiamma?

Non un caso isolato, appunto. I carbonara – gate scoppiano periodicamente. Talvolta sono divertenti, altri meno, e puntualmente scatenano un mai sopito integralismo gastronomico. Ma perché casi come questo capitano con la carbonara e non con altri piatti? «Secondo me perché la carbonara è uno dei piatti popolari per eccellenza. Tutti la fanno e tutti pensano di saperla fare meglio degli altri, quindi si sentono titolati a dire la propria», dice Luciano Monosilio, tra i più giovani chef ad ottenere la stella Michelin, che è davvero tra i più titolati a parlare di carbonara, dato che a Roma ne è considerato il «re». Per la sua carbonara si è meritato lodi del New York Times e la sua ricetta è uno dei motivi per cui prenotare un tavolo nei suoi ristoranti: Luciano Cucina Italiana e Follie, nella storica Villa Agrippina Gran Meliá, che dirige da due anni.

Come Monosilio la pensa un altro pilastro della cucina romana, cioè Simone Panella, che con il fratello Francesco ha in mano le cucine dell’Antica Pesa di Roma, tra i ristoranti che hanno fatto la storia della cucina capitolina (hanno anche celebrato il centenario), e – da 12 anni – dell’Antica Pesa a New York: «La carbonara non smetterà mai di far discutere perché è un piatto molto conosciuto in tutto il mondo. Lo fanno un po’ ovunque, e proprio per questo ognuno ha applicato la sua idea. Aggiungo: purtroppo. Perché la ricetta resta una sola».

Quanto si può cambiare la carbonara secondo Luciano Monosilio e Simone Panella

«La carbonara è quella fatta con uova, guanciale, pepe e pecorino. È tenacemente romana anche negli ingredienti. Non esiste una sola ricetta codificata proprio perché è un piatto del popolo: possono variare le preparazioni ma non le materie prime, perché di sicuro non prevede pollo, funghi, panna», continua Monosilio. Per questo, e non solo, nei suoi ristoranti non cede a variazioni sul tema: «Non è successo quasi mai che mi abbiano chiesto variazioni della carbonara. Io comunque non transigo: non cambierei nemmeno il formato di pasta, figurarsi se aggiungerei ingredienti a piacere dei clienti. Se vai in una boutique a comprare un paio di scarpe, chiedi di cambiarle a piacimento?».

«Sono piuttosto integralista anche io, soprattutto sui primi piatti», prosegue dalla sua Simone Panella. «A me capita spesso di ricevere richieste singolari, e quando è possibile cerco una via di mezzo senza mai snaturare la ricetta. Magari per la pasta cambio il formato, cercandone però uno adatto e spiegando comunque al cliente che non è il migliore per quel condimento, ma non aggiungo ingredienti che non siano previsti. Piuttosto consiglio di modificare l’ordine: se chiedono una carbonara con il pollo, propongo di scegliere un piatto completamente diverso. Oppure, se proprio non riescono a farne a meno, di prendere una carbonara e un pollo arrosto da mangiare a piacimento, anche contemporaneamente, perché dalla mia cucina non uscirà mai una carbonara che non sia una vera carbonara». «Nemmeno dalla mia», aggiunge Monosilio. «E di sicuro non toglierei la carbonara dal menù se non dovesse piacere ad alcuni clienti così com’è: è un’espressione della mia cucina, della cucina del ristorante che la propone. Il cliente è sempre libero di scegliere».

La carbonara e la cucina italiana all’estero

Può darsi che a tratti faccia sorridere pensarci, ma dover rispondere alla richiesta di una carbonara con il pollo o i funghi (o di un qualsiasi altro piatto italiano completamente stravolto) per un professionista della ristorazione è molto meno semplice di quanto si pensi, specie se si interfaccia con clienti stranieri. «A Roma capita meno spesso, forse perché i clienti stranieri arrivano da noi con consapevolezza. Ma a New York è frequente ricevere richieste di variazioni. Gli stranieri all’estero sono i clienti più difficili, specie per piatti dai sapori forti, come può essere una carbonara con il pepe e il pecorino. Loro sono normalmente abituati a variazioni nate per inseguire il loro gusto, in ristoranti italo-americani o italo-tedeschi a seconda della provenienza, perciò fanno fatica ad apprezzare gli originali», dice Panella.

«Il fatto, però, è che la carbonara è solo la punta di un iceberg», fa notare Panella. In effetti la questione per i ristoratori è più ampia: si tratta di essere disposti o meno scendere a patti, decidere se fare lo stesso (errore) che per tanti anni hanno commesso i ristoranti italiani all’estero. Due le vie, insomma: assecondare palati poco allenati alla nostra cucina, oppure andare dritti per la propria strada consapevoli del fatto di essere anche ambasciatori di una cultura culinaria, la nostra. «I bisogni dei clienti vanno assecondati, ma c’è un limite: se so che chiamare “lasagna” della pasta fresca ripiena di pesce per loro fuorviante, la chiamerò “pasta fresca” e continuerò a chiamare “lasagna” solo quella con ragù e besciamella. Ma non oltre», dice Panella. «E poi – conclude Monosilio – non dimentichiamo una cosa: magari tutti hanno una loro versione di carbonara, ma lasciamo agli chef la possibilità di fare gli chef». Altrimenti – aggiungiamo noi – che gusto ci sarebbe ad andare al ristorante?

Ricetta Carbonara con la panna

Ricetta Carbonara con la panna

Step 1

Per la ricetta della carbonara con la panna, mettete a cuocere la pasta in acqua bollente salata.

Step 2

Tagliate il guanciale a bastoncini e rosolateli in una padella antiaderente finché parte del grasso non si sarà fuso e la consistenza non sarà croccante.

Step 3

Mescolate in un’ampia ciotola i tuorli con il pecorino, la panna e una generosa macinata di pepe. Aggiungete un po’ del grasso del guanciale.

Step 4

Scolate gli spaghetti bene al dente e versateli nella ciotola con il condimento di tuorli. Distribuiteli nei piatti e completateli con i bastoncini di guanciale.

Step 5

Abbinamento vino: la cremosità della panna e delle uova chiede un vino capace di pulire il palato, come sanno fare le bollicine di uno spumante Metodo Classico. Sceglietene uno di buona freschezza e struttura, come quelli, a base di Pinot nero, che nascono in montagna. Il Trento Perlé Nero Riserva 2016 di Ferrari è sfaccettato ed elegantissimo, con profumi fruttati, burrosi e minerali. 74 euro, ferraritrento.com

Ricetta: Sara Foschini, Foto: Maurizio Camagna, Styling: Beatrice Prada

dove mangiare bene nella capitale | La Cucina Italiana

dove mangiare bene nella capitale
| La Cucina Italiana

Roma magica. Mi piace andare a Roma, anche da milanese, sì. Mi piace andare a cena nelle trattorie della capitale fedeli a se stesse e allo stesso tempo sempre capaci di rinnovarsi. Diciamo che se la città seguisse la propria cucina e la propria capacità di rinascita, avrebbe risolto i propri problemi. Di solito, mentre il treno entra alla Stazione Termini, ancora sul binario, faccio due telefonate.

Una a Francesco Panella, ormai chiamato a vita Francè. Lui, star di Little Big Italy che va in onda sulla Nove, è un fenomeno televisivo ma anche un eccellente ristoratore e imprenditore. Quando sei all’Antica Pesa il minimo che ti può capitare è di imbatterti in Russell Crowe. Alle pareti ci sono le foto di tutti, e quando dico tutti intendo da Al Pacino a Madonna e Brad Pitt, Hollywood al completo. E sono cent’anni che questo ristorante è «la» trattoria di Trastevere, avventura iniziata nel 1922 quando in via Garibaldi c’era la dogana di riscossione del dazio sul grano e gli addetti ai lavori avevano bisogno di ristoro. Francesco, tv permettendo, è sempre lì ad accoglierti con quel calore romano che ti fa sentire a casa e una volta mi ha pure presentato a James Cameron, il regista statunitense due volte premio Oscar, con la disinvoltura che ha sempre con tutti i suoi ospiti, famosi o meno, e con la sua squadra in sala efficiente e preparata, e molto sorridente. Simone, il fratello chef, propone una cucina romana a volte rivisitata, come il ramen in versione romana, che trovo strepitoso, o le classiche puntarelle ma con il twist della bottarga e dei lamponi. D’estate è un sogno perché c’è la terrazza. Insomma si sta bene. Roma ha questo calore un po’ spettinato però sempre così vicino.

L’altra telefonata è a Fulvio Pierangelini, cuoco straordinario. Ha un bel caratterino (scusa chef) e un gran cuore. Oggi è il direttore creativo dei ristoranti degli hotel Rocco Forte, e la sua cucina è sempre viscerale, onesta, composta da sapori puri e sorprendenti nella loro semplicità. Ha un rapporto tattile con il cibo ed è come se gli ingredienti avvertissero il suo tocco. Guai a usare un coltello «contro» un pomodoro! Andare al mercato con lui è come camminare con i Måneskin nel centro di Roma. Un po’ lo prendo in giro ma non dimentico che il critico storico del quotidiano francese Le Figaro François Simon – per intenderci colui che ha ispirato il personaggio di Anton Ego nel cartone animato Ratatouille – lo ha definito nel libro (meraviglioso) Pique-assiette (scroccone) il miglior cuoco del mondo. Letto con questi occhi. Persino la quinoa che è un ingrediente da me amato ma non particolarmente sexy, diventa eccellente tra le manone di Fulvio. Una volta a casa sua, quando abitava a due metri da piazza del Popolo, la preparò con una crema di barbabietole degna del Talismano della felicità insieme a una purea di cavolo romano. Fulvio è così, verace, sofisticato, nevrotico, colto, francofono e tutto non necessariamente in quest’ordine. Anni fa, a Parigi, entrai in una macelleria sull’Île Saint-Louis e vidi che il macellaio rubizzo e scontroso come da cliché aveva scritto il nome di Fulvio sulla carta dove segnava i numeri per fare di conto. Gli chiesi: «Mi scusi, quello è Pierangelini?». Lui mi guardò come se fossi una strega e io chiamai Fulvio per passarglielo al telefono. Si fermava qui prima di andare da Azzedine Alaïa. Ora l’ho appena rivisto all’Hotel de la Ville, a Trinità dei Monti, a pochi metri da quella scalinata che arriva in piazza di Spagna. Parlo così tanto di Fulvio a Roma perché è una destinazione nella destinazione.

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