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Food for Future: la nuova campagna del WWF dedicata al cibo

La Cucina Italiana

Food for Future, ovvero: il nostro futuro e quello del Pianeta dipendono dalle scelte che facciamo a tavola. Il sistema alimentare è la più grande minaccia per la biodiversità globale. Un’alimentazione sostenibile può salvare il Pianeta e mantenerci in salute. Food4Future (Food for Future): portiamo la sostenibilità alimentare sulla bocca di tutti.

Viviamo in un mondo in cui un miliardo di persone soffre ancora la fame cronica, un mondo “affollato” e con risorse sempre più limitate, che sta spingendo i processi del sistema-Terra oltre soglie biofisiche, dette “limiti planetari”, che non devono essere superate se vogliamo mantenere in equilibrio l’ecosistema terrestre. Quattro di questi limiti sono invece stati già largamente oltrepassati e la causa è quasi sempre riconducibile all’insostenibilità del sistema alimentare.

I 4 limiti planetari superati

  • Perdita di biodiversità: almeno l’80% della perdita di biodiversità globale è causata dall’agricoltura e dal sistema alimentare globale. L’estinzione riguarda specie ed ecosistemi sia terrestri sia marini.
  • Cambiamento d’uso del suolo: il 40% delle terre emerse è già sfruttato per l’agricoltura e l’allevamento, ciononostante la prima causa di deforestazione mondiale è la creazione di coltivazioni, pascoli e piantagioni. Il suolo è una risorsa non rinnovabile da cui dipende la vita sulla Terra e la nostra stessa sopravvivenza.
  • Cambiamento climatico: il 23% delle emissioni globali di gas serra deriva dall’agricoltura, percentuale che arriva al 37% se si considerano tutti processi di trattamento e trasporto dei prodotti alimentari, facendo del sistema alimentare uno dei principali responsabili del cambiamento climatico.
  • Alterazione dei cicli biogeochimici: l’agricoltura e l’allevamento sono la causa principale dell’alterazione umana dei flussi di azoto e fosforo. Abbiamo sconvolto la chimica del Pianeta: oggi si consumano dieci volte più fertilizzanti minerali che non negli anni 60, che inquinano i corsi d’acqua e sconvolgono le aree marine costiere.

Altri limiti sono a rischio, proprio perché strettamente interconnessi, tra cui il consumo di acqua dolce, che negli ultimi 50 anni è più che triplicato e oggi l’agricoltura ne usa fino al 75% per l’irrigazione, e l’inquinamento chimico, causato dalla diffusione incontrollata di erbicidi, fungicidi, insetticidi, antibiotici, ormoni, un cocktail di inquinanti che minaccia la salute dell’uomo e degli ecosistemi.

Sistemi alimentari non sostenibili non danneggiano soltanto l’ambiente, ma minacciano anche la salute, l’istruzione, l’economia, la sicurezza e la pace.

Food for future: la campagna

L’obiettivo della campagna Food4Future è quello di modificare i sistemi alimentari, dalla produzione al consumo, per renderli più resilienti, più inclusivi, più sani e più sostenibili, tenendo conto delle necessità umane e dei limiti del Pianeta. Il cibo è la leva più potente per migliorare la salute umana e quella degli ecosistemi.
Quattro sono le aree in cui è urgente agire: dal campo al mare, dalla tavola alla riduzione di perdite e sprechi alimentari.

4 sfide per non superare i limiti del Terra

  • Grow better – Coltiva sostenibile
  • Fish better – Pesca sostenibile
  • Eat better – Mangia sostenibile
  • Use better – Riduci gli sprechi alimentari

Coltiva sostenibile

L’agricoltura è sostenibile quando produce alimenti e materie prime senza superare i limiti del Pianeta, mantenendo i servizi ecosistemici da cui essa stessa dipende, come suoli fertili, disponibilità di acqua dolce e conservazione di habitat e specie. La nuova rivoluzione agricola si basa su tre grandi principi: convertire le pratiche agricole verso un maggiore rispetto dei cicli naturali degli agroecosistemi; proteggere e aumentare le aree ad alta naturalità, funzionali al mantenimento e incremento della biodiversità, ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi attraverso la diffusione di pratiche agricole che non richiedano l’uso di pesticidi, fertilizzanti chimici e antibiotici.

Gli obiettivi della campagna

  • Ridurre del 50% l’uso di pesticidi entro il 2030;
  • coltivare il 40% della superficie agricola in biologico entro il 2030;
  • ripristinare almeno il 10% della superficie agricola in aree naturali;
  • riportare l’allevamento a una modalità biologica ed estensiva;
  • più sostanza organica nel suolo e meno fertilizzanti;
  • favorire la transizione ecologica verso la sostenibilità delle industrie agroalimentari

Pesca sostenibile

La pesca eccessiva, distruttiva e illegale è una delle minacce più gravi per gli ecosistemi marini. Su scala globale il 34% degli stock ittici è sovrasfruttato (nel Mediterraneo questa percentuale sale al 75%) e il 60% è pescato al limite delle proprie capacità di rigenerarsi. Un prodotto ittico è sostenibile se: non riduce la capacità naturale degli stock ittici di rigenerarsi, non distrugge gli habitat marini e costieri, non contribuisce in modo significativo al rilascio di gas serra, non minaccia le specie a rischio di estinzione e protette, non inquina, considera adeguatamente gli interessi delle comunità associate, non opera alcuna trasgressione dei diritti umani fondamentali né dei diritti dei lavoratori, non mina la sicurezza alimentare, è legale e tracciabile.

Gli obiettivi della campagna

  • Garantire che la gestione della pesca diventi un sistema partecipativo che includa i pescatori locali;
  • coinvolgere l’industria ittica nella trasformazione del settore della pesca verso la sostenibilità. 

Mangia sostenibile

Il cibo è la principale leva in grado di garantire la salute dell’uomo e la sostenibilità ambientale sul Pianeta. Tuttavia il cibo sta minacciando sia le persone sia il Pianeta. Oltre 800 milioni di persone continuano a non avere quantità di cibo sufficienti, mentre un numero doppio assume quantità smisurate di cibo. Una dieta ricca di frutta, verdura e, in generale, di alimenti di origine vegetale è il pilastro delle diete sane, ma anche di quelle più sostenibili per l’ambiente. Il cambiamento delle abitudini alimentari dei cittadini è lo strumento fondamentale per cambiare l’intero sistema alimentare. La Dieta Mediterranea, globalmente riconosciuta come l’esempio per eccellenza di dieta sostenibile, è a rischio di estinzione.

Gli obiettivi della campagna

  • Promuovere l’adozione di una dieta principalmente a base vegetale;
  • approvare una norma che impedisca l’importazione in UE di prodotti causa di deforestazione e distruzione di ecosistemi. 

Ridurre gli sprechi alimentari

Uno dei paradossi inaccettabili del nostro tempo è la perdita e lo spreco alimentare: cibo buttato via, perso, lasciato marcire o degradato da organismi infestanti. Cibo che ha richiesto energia, terra, acqua, tempo, carburante, risorse naturali e umane, denaro e una certa quantità di inquinanti per essere prodotto, trasportato, trasformato, confezionato, conservato, venduto e acquistato. Le perdite e gli sprechi aggravano l’insicurezza alimentare e la malnutrizione in un momento in cui la fame nel mondo è in aumento. Fondamentale è ridurre sensibilmente le perdite alimentari sul piano della produzione e gli sprechi alimentari sul piano del consumo.

Gli obiettivi della campagna

  • Ridurre fino a eliminare le perdite lungo le filiere, in campo e in mare;
  • eliminare gli sprechi domestici.

Il nostro futuro e quello del Pianeta dipendono anche dalle scelte che facciamo a tavola. Partecipa anche tu a Food4Future e portiamo la sostenibilità alimentare sulla bocca di tutti.

Fonte WWF

Un mercato che unisce città e campagna

Un mercato che unisce città e campagna

I prodotti locali sono espressione del territorio di origine, ma il loro uso nei piatti avviene all’insegna della contaminazione tra le più diverse realtà nazionali

Il Paese delle cento città: così è stata definita Italia. Essa è anche il Paese delle cento cucine, perché ogni città ha una storia, una cultura, una cucina diverse. Ma proprio nelle città si è elaborata e trasmessa una cultura gastronomica che ha subito oltrepassato la prospettiva locale per assumere una dimensione nazionale, secondo un meccanismo molto semplice. La città, grande o piccola che sia, è il capoluogo di un territorio che a essa fa riferimento sul piano amministrativo e produttivo. Ma la città è anche il luogo per eccellenza dello scambio commerciale e culturale. In questo senso la città rappresenta il territorio, le sue risorse, la sua cultura (anche gastronomica) e al tempo stesso ne diffonde ed esporta i saperi, le tecniche, i prodotti.

È per questo motivo che il patrimonio gastronomico italiano viene spesso ricondotto a identità cittadine, sia quando si tratta di ricette (risotto alla milanese, fegato alla veneziana, pizza napoletana…) o di preparazioni artigianali (mostarda di Cremona, mortadella di Bologna, pesto genovese…) che in qualche modo possiamo ritenere veramente «cittadine», sia quando si tratta di prodotti legati alla campagna, al bosco, ai monti, al mare: radicchio di Treviso, gallina livornese, olio di Bitonto, insalata romana, noci di Sorrento, tartufo di Alba… Prodotti che, evidentemente, non nascono in città. Ciò che si enfatizza, nell’immagine e nella rappresentazione di queste e di mille altre specialità, è il luogo di
mercato più che l’area di produzione. Il centro che raccoglie ed esporta quei prodotti.

La cucina in tal modo si manifesta come luogo dello scambio e della contaminazione, oltre che (più che) dell’origine. Se un prodotto può essere espressione di un territorio, il suo uso in una ricetta o in un menù è quasi sempre frutto di un’ibridazione, sicché l’espressione «cucina di mercato» sarebbe forse preferibile a quella che, troppo frettolosamente, siamo soliti definire «cucina di territorio». Ogni gastro-toponimo (ovvero, ogni nome di luogo che designa specialità gastronomiche) presuppone da un lato il radicamento territoriale di un prodotto o di una ricetta, dall’altro il fatto che quei prodotti o quelle ricette circolino, vengano usati o realizzati altrove. Nessuno chiamerebbe «parmigiano» un formaggio che fosse consumato solo a Parma.

La frequenza dei gastro-toponimi è direttamente proporzionale alla circolazione delle culture locali. Dunque la quantità di prodotti e ricette a denominazione di origine, che caratterizza da secoli la gastronomia italiana, rispecchia una profonda condivisione della cultura alimentare da una parte all’altra del Paese. Le diversità locali non sono restate chiuse in sé stesse ma sono cresciute nel segno del confronto e dello scambio. È in questo modo che l’Italia delle cento città e delle cento campagne ha dato vita a infinite differenze e, nel contempo, a una cultura ampiamente condivisa, nel dialogo costante fra «locale» e «nazionale».

Testo di Massimo Montanari, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove ha fondato il master Storia e cultura
dell’alimentazione. Presiede il comitato scientifico incaricato del dossier di candidatura della «cucina di casa italiana» all’Unesco.

Agricucina: la nuova frontiera sulle tavole di campagna

Agricucina: la nuova frontiera sulle tavole di campagna
L’entrata del Blue Hill at Stone Barns, nei pressi di New York
Dan Barber, il primo grande chef a creare una “farm table”
Il tradizionale Bacon & Eggs secondo Dan Barber
La piccola sala del San Brite, neo-stella Michelin a Cortina
Riccardo Gaspari impegnato nel foraging quotidiano
Il salmerino marinato con lenticchie del San Brite
La sala principale dell’agriturismo Il Casaletto a Viterbo
Marco Ceccobelli, chef e patron di Il Casaletto
Sformato di zucca: un classico nella carta di Il Casaletto
La sala di Il Colmetto a Rodengo Saiano (BS)
Lo chef bresciano Riccardo Scalvinoni
La rivisitazione della gallina in saor di Il Colmetto
Il Cucchiaio di Legno a Orta San Giulio (NO)
Crealto ad Alfiano Natta (AL)
Le Frise ad Artogne (BS)
Un piatto di Dalie & Fagioli, a Manerba sul Garda (BS)
Polisena, agriturismo 2.0 a Pontida (BG)
Pollo al tegame: un piatto del Cerro di Montepetra a Sogliano al Rubicone (FC)
L’Aia del Tufo si trova a Sorano (GR)
Cucina ‘toscanissima’ al Podere Santissima Annunziata di San Vincenzo (Li)
La sala di La Collina di Roseto a Benevento
I tagliolini al sugo di Casa Marmida a Guspini (VS)
Un posto suggestivo: Masseria Storica Pilapalucci a Toritto (BA)
Insalata d’arance con datteri e fichi secchi: un dessert tipico di Case Perrotta a Sant’Alfio (CT)

Di agriturismi (veri e finti) l’Italia è piena. Ma si inizia a vedere un’interessante evoluzione, legata alla cucina: se prima i prodotti della fattoria, delle colture o dell’allevamento nel perimetro finivano in piatti semplici e di pura tradizione, oggi diventano protagonisti di menu più fantasiosi, tecnici, a volte persino creativi. Non si spaventino quanti esigono la grigliata mista, il vino sfuso e la tovaglia a quadretti: (r)esistono e (r)esisteranno a vita, fanno parte della storia culinaria del nostro Paese. Ma per chi vuole andare oltre, ecco che l’agricucina – neologismo forse non brillante ma sempre citato da chi la pratica – offre spunti sempre più interessanti, dall’Alto Adige alla Sicilia. Perché se l’ambiente è più curato e i coperti non sono decine, in tavola arrivano comunque le verdure, le carni, i latticini, i pani dell’azienda che ospita il locale. In ampie percentuali, regolarmente superiori a quanto prevedono le singole normative regionali, perché chef e patron che credono ciecamente nella propria agricucina non cercano scorciatoie sui prodotti e odiano le furberie.

Il modello Blue Hill at Stone Barns

Il nume assoluto della tendenza è statunitense: Dan Barber, 51 anni, nel 2004 si è insediato in una bellissima fattoria – appartenuta ai Rockfeller – a Pocantico Hills, 30 miglia a nord di New York. Pian piano ne ha fatto la “farm table” più raffinata degli Stati Uniti, arrivando alla doppia stella Michelin. Al Blue Hill at Stone Barns – che è anche un centro di ricerca per il cibo e l’agricoltura – c’è un solo menu degustazione, ma non è uguale per tutti i tavoli. Accade perché tutto arriva da lì (o da aziende consociate) e niente è standardizzato in quanto ben poco di quanto raccolto o macellato può soddisfare ogni ospite. Barber, molto attento al sociale, ha in ogni caso una succursale a Manhattan – il Blue Hill, anch’esso stellato. In Italia, l’uomo da copertina è diventato il 35enne cortinese Riccardo Gaspari: il suo San Brite – un maso ristrutturato con classe – in dicembre ha conquistato incredibilmente la Stella Michelin. Era adolescente quando ha iniziato ad aiutare i genitori nell’agriturismo El Brite de Larieto «Quando leggo o sento colleghi che discettano di fattorie e allevamenti, mi rendo conto che non hanno mai faticato un’ora in quell’habitat. Non è obbligatorio farlo, sia chiaro, ma viverle condiziona: molti prima aprono il locale e poi si fanno le fotografie nella serra. Da noi funziona al contrario».

Gaspari, neo-stella Michelin

La svolta a 22 anni, con l’arrivo a Cortina di una collaboratrice, la bolognese Ludovica Rubbini, oggi moglie e preziosa spalla in tutto, compresa la gestione del caseificio Piccolo Brite. Gaspari, per amore, è diventato cuoco della trattoria interna alla fattoria dove ancora oggi si servono piatti di tradizione, alleggeriti. Poi nel 2016, dopo una cena all’Osteria Francescana, l’incontro con Massimo Bottura che intuisce subito le potenzialità del giovane bellunese e gli offre un primo stage, seguito da altri. È la scintilla per aprire il San Brite: Riccardo stupisce tutti con proposte geniali come i già famosi Spaghetti Monograno Felicetti mantecati con olio al pino mugo (la foto in apertura di servizio), il salmerino con lenticchie marinate, l’apparentemente semplice petto di anatra alla brace. «Non sono esercizi di stile, ci sono ricerca sul prodotto, studio della storia e tante prove. Il 70% della materia prima è nostro, l’altro 30% lo acquisto da persone in zona, che conosco da una vita. Per raggiungere la stella Michelin non mi sono snaturato, anzi ho spinto di più sul concetto», sottolinea Gaspari.

Il passato e l’esperienza

È evidente che il fenomeno passa per le mani di cuochi giovani, spesso con passaggi in cucine di livello. Hanno una marcia in più rispetto a chi prepara – con passione, sia chiaro – i piatti di sempre, sulla ricetta originale. Un esempio su tutti: a Cascina Guzzafame, il “farm restaurant” Ada & Augusto aveva al timone Takeshi Iwai (già allievo di Alajmo, Cuttaia e Genovese) che si serviva magistralmente delle produzioni agricole interne per piatti dove la tradizione era riscritta totalmente. Difatti, chiusa l’esperienza a Gaggiano, il cuoco giapponese ha contribuito in soli sei mesi alla stella Michelin di Aalto Part of Iyo, a Milano, tendenza pura. «Per rivedere correttamente il passato, ci vuole un pensiero: la mia visione è cambiata nello stage al Piccolo Diavolo di Piergiorgio Parini», spiega il 38enne bresciano Riccardo Scalvinoni, famiglia storica di fornai e chef di Il Colmetto, agriturismo con cucina a Rodengo Saiano. «Dopo esperienze in locali di ogni tipo, ho deciso di fare “creatività agricola”. Cambio carta ogni dieci giorni in base a quello che abbiamo in dispensa». I piatti sorprendono piacevolmente: torta di patate e mele stagionate, linguine con garum di capra, fegato di capra essiccato e grattugiato (capolavoro di umami), asado con salsa di camomilla. «Il pubblico? Prima timoroso, ora fedelissimo».

La qualità al primo posto

Se il Nord come sempre lancia la tendenza, il Centro e il Sud si stanno allineando: nella nostra gallery, c’è una selezione dei migliori posti. A Viterbo c’è Il Casaletto, un agriturismo che il Gambero Rosso ha premiato – mai successo – con i Tre Gamberi e i Tre Spicchi: il massimo riconoscimento rispettivamente per le trattorie e le pizzerie. Merito di Marco Ceccobelli che con il fratello Stefano ha raccolto il testimone dal padre e dieci anni fa ha deciso di cambiare marcia nella ristorazione. «Spinto dalla passione, mi sono messo a fare più ricerca e a girare tutti i locali in zona e non solo, imparando tantissimo dai colleghi», racconta Marco, lo chef. «A quel punto abbiamo deciso di rivedere l’ambiente, il servizio e la cucina. Non si tratta di distruggere la tradizione, tanto che mi piace parlare del nostro locale come di un “agri-ristoro”, ma di renderla più leggera e meglio presentata. Perché se hai prodotti di qualità, tuoi o ben acquistati, è un peccato non utilizzarli bene: una porchetta al top su una pizza di farine macinate a pietra vale un piatto di uno stellato, anche se viene servita in un agriturismo».

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