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Ciuìga del Banale (e del Bleggio)

Ciuìga del Banale (e del Bleggio)

La Ciuìga è simbolo dell’estrema povertà di queste terre, lontane dall’iconografia più classica e nota del Trentino. Ma che cos’è esattamente? E dove si trova?

Quella della Ciuìga è una questione delicata, bisogna stare attenti a parlarne. Attanaglia gli spiriti perché per secoli li ha sfamati, creando drammi apparentemente indissolubili. Il tema scottante è, come spesso accade, l’appartenenza, poiché dall’area del Banale se ne rivendica la sola e unica origine, ora tutelata anche dal Presidio Slow Food; ma voci simili giungono anche dal vicino Bleggio. Ma alla fine questo prodotto ha una grande appartenenza al territorio delle Valli Giudicarie, per la precisione esteriori, che comprende entrambe le zone. Qui le famiglie hanno prodotto per anni Ciuìga, in quanto simbolo dell’estrema povertà di queste terre, lontane dall’iconografia più classica e nota del Trentino. Oggi è diventata più un souvenir, qualcosa da far provare e portare a casa a chi viene da fuori, dicono: «A casa le mangeremo ormai al massimo due volte all’anno…».

Che cos’è la Ciuìga

La Ciuìga è un salame che si chiama così perché ricorda la forma della pigna, che in dialetto locale si dice appunto ciuìga. Ma el par na ciuìga! In passato si preparava con le parti meno nobili del maiale, quali polmoni, fegato, testa, cuore e altre frattaglie varie, poiché i tagli migliori venivano venduti. Oggi la Ciuìga è stata “innobilita” con altre parti e si prepara con gola, spalla, pancetta e coppa, con l’aggiunta di ciò la contraddistingue da tutti gli altri salami e che la rende un salame unico in Italia: la rapa, molto comune in Trentino, che fa volume ingannando occhio e stomaco; questa viene cotta, tritata, poi strizzata per eliminare l’acqua e messa sotto vuoto in attesa del periodo di preparazione dei salumi. Nel tempo si sono invertite le proporzioni e si è passati da un 80% circa di rapa al 30%, con una maggior quantità di carne. In passato era anche molto più rossa per la presenza del sangue, oggi del tutto assente. Gli altri ingredienti sono sale, pepe, aglio, spezie e vino bianco. Una volta insaccata e legata, viene affumicata in un locale senza camino con un fuoco alimentato con rami di ginepro, i cui aromi caratterizzano il prodotto finale. Il periodo di produzione va da ottobre, quando le rape sono pronte e inizia a esserci un clima più freddo favorevole alla preparazione dei salumi, fino ad aprile.

Come si consuma

La Ciuìga si mangia bollita (per circa quindici minuti, dopo averla bucherellata), tagliata a fette e servita con patate lesse, meglio se del vicino Lomaso e con la buccia. Questa è la ricetta della tradizione, quella dei nonni che si prepara tradizionalmente da sempre. In alternativa, quando più stagionata, si può anche gustare cruda, senza bisogno di cuocerla, proprio come un qualsiasi altro salame che sarà riconoscibile dal forte odore e sapore di affumicatura.
Nel tempo sono nati altri abbinamenti più originali, quali l’orzotto alla ciuìga, il timballo di polenta e porcini, gli gnocchi al gorgonzola, le tagliatelle con le noci, o l’accompagnamento con i classici canederli. Uno dei piatti più originali e interessanti resta la ciuìga in pasta pane brioché alle noci, dove il salume viene arrotolato nella pasta, pennellato con tuorlo d’uovo e cotto in forno.

La Ciuìga Del Banale e la Famiglia Cooperativa Brenta

La Ciuìga è da sempre la merenda del Banale. Basta fare un salto in qualche osteria di San Lorenzo in Banale, cuore della produzione, per trovarla ancora con pane, patate e un bicchiere di vino come classico spuntino. Secondo i racconti dei più anziani in paese, fu inventata qui a fine Ottocento da un macellaio locale, Palmo Donati, che passò poi il testimone a tal Eugenio Baldassari in cambio di una fornitura di 2 etti di carne al giorno. Oggi le famiglie che la producono privatamente sono rimaste in poche, come il proprietario del Ristoro Dolomiti di Brenta; gli unici produttori che possono commercializzarla sono quelli della Famiglia Cooperativa, di cui Martino ne è l’anima più pulsante. A tal proposito è interessante sapere che la Cooperazione in Trentino nacque proprio nelle Giudicarie Esteriori, nel 1890, grazie ai don Guetti e Antonio Prudel che fondarono delle cooperative di mutuo soccorso, in cui chi aveva disponibilità di denaro poteva investire a vantaggio dei meno abbienti. Tra queste, la Famiglia Cooperativa Brenta, attiva tuttora, organizza ogni novembre da circa 14 anni la Sagra in onore di questo prodotto, con cui più di qualsiasi altro nel Banale, si identificano; negli ultimi anni è diventata anche un Presidio Slow Food con lo scopo di aumentare la produzione mantenendo la tecnica tradizionale. E sempre a San Lorenzo c’è anche un meraviglioso sentiero in suo onore.

La Ciuìga del Bleggio

A onor del vero, non sarà quella originaria o del Presidio, ma anche nella limitrofa zona del Bleggio, più nota per le noci, si produce la Ciuìga: è più delicata, meno speziata e affumicata, sia perché, a detta dei suoi produttori, preferiscono esaltare il sapore della rapa; sia perché tendono a consumarla più nell’immediato dopo la preparazione, quindi a non aver bisogno dell’affumicatura per conservarla nel tempo.

Dove trovarle (in pace)

Ci sono alcuni luoghi che hanno deciso di far andare d’accordo le due versioni della Ciuìga, come l’Osteria Fiore di Poia di Comano, dove lo chef Silvio le propone entrambe in un piatto, servite con patate bollite. Al ristorante Don Pedro invece troviamo la Ciuìga del Banale in una pizza che è un inno ai prodotti del territorio delle Giudicarie: la De Val, con patate del Lomaso e noci del Bleggio.

«Ades che sem deventadi el pu bel borgo venghino venghino cari avantori sentiré boni saori tut prodoti de la nosa tera» (Bruna Orlandi, 90 anni).

Con le noci italiane del Bleggio ci si fa anche il salame di noci

Con le noci italiane del Bleggio ci si fa anche il salame di noci

Le noci del Bleggio sono un presidio Slow Food, oramai rare (come tutte le noci italiane in verità). Ma così speciali che ci si fa la pizza e persino il salame: il Nocetto

C’è una zona nel basso Trentino, il Bleggio, dove un tempo era usanza piantare un albero di noci in occasione della nascita di un bambino. “Chi pianta un noce, non ne raccoglie i frutti”, si diceva, perché è un atto che si fa per i figli, visto che ci vogliono circa vent’anni prima di cogliere i suoi risultati. Per questo, nel tempo si è preferito impiantare altre varietà come quelle francesi, che danno frutti in meno anni, così come abbiamo iniziato ad importare noci più grandi dall’estero, soprattutto dalla California. Il risultato è che oggi in Italia si produce solo il 10% delle noci che consumiamo.

Le Noci del Bleggio

Le noci sono un prodotto inscindibilmente legato al territorio del Bleggio. Sarà perché in passato ogni famiglia aveva almeno qualche albero, in quanto rappresentavano un’importante entrata economica: “pan e nos magnar da spos”, cioè pane e noci mangiare da sposi. Eppure, nel tempo la coltivazione di noci italiane, come quelle di Sorrento o appunto del Bleggio, è stata progressivamente abbandonata, in particolare negli anni Settanta, a causa di vari fattori: la fuga dalla campagna alla fabbrica, il generale abbandono dei terreni, la meccanizzazione delle pratiche agricole. E per produrre anche una sole noce, c’è dietro un gran lavoro tant’è che si dice “c’è pù le gos che le nos”, ovvero è più il gesto e il lavoro impiegato che la noce in sé. Ma alla varietà bleggiana sono state riconosciute caratteristiche talmente uniche anche a livello nazionale, quali un gusto dolce, speziato e molto aromatico, che prima poi qualcuno doveva ripensare a recuperarla. In particolare è stato Rodolfo Brochetti che, seguito poi da una decina di produttori, ha ripreso e ridato vita alla varietà bleggiana, più piccola e più cara, e quindi con meno richiesta di altre sul mercato. Nel 2008 hanno dato vita anche a una Confraternita, nata quasi in modo goliardico, che in realtà si è poi rivelata uno strumento fondamentale di tutela: nel 2016, infatti, hanno realizzato un semenzaio per la produzione di piante porta innesti (visto che si riproduce solo per innesto) e da poco hanno inaugurato anche un percorso, il Sentiero della Noce, che attraversa le stradine di campagna costeggiate da noceti, aziende produttrici e campi coltivati. Inoltre, ogni novembre, organizzano una festa in suo onore, dopo i due mesi di raccolta a settembre e ottobre. Ed è la prima noce in Italia Presidio Slow Food. 

L’utilizzo in cucina

Il primo utilizzo delle noci in cucina è sempre stato più nei dolci, in torte e biscotti di vario tipo; in secondo luogo, altro prodotto della tradizione bleggiana, è il pane con le noci, come ad esempio lo fanno all’antico panificio Riccadonna di Rango; e il nocino, preparato con le noci raccolte il giorno di San Giovanni. Poi le bleggiane compaiono anche in alcuni piatti, come gli spatzle con panna, speck e noci, o con gli gnocchi di patate, altro prodotto tipico della zona. Quel genio dello chef Cristian Rossi del ristorante Don Pedro di Comano Terme ha ideato una pizza che è il più sincero e ben riuscito omaggio ai prodotti del suo territorio: la pizza De Val con Noci del Bleggio, patate montagnine e Ciuìga del Banale; sempre lui prepara anche il Trentomisù, una crema squisita di ricotta locale con frutti di bosco e tortino alle Noci del Bleggio. Infine, l’azienda Il Noce, tenuta dal giovane e creativo Marco Brochetti che ha seguito le orme paterne, ha creato una linea di prodotti originali tutti a base di noci: noci candite, noci verdi sott’olio, olio di noci e pesto di noci, perfetto per condire la pasta. Ma le invenzioni non finiscono qua…

Il Nocetto: salame di noci

È stato il Salumificio Salizzoni nel 1999 a ideare per primo un prodotto nuovo, che non fa parte della tradizione locale: il salame con le Noci del Bleggio. All’inizio non credeva potesse funzionare così bene l’equilibrio tra due gusti così diversi come il salame e la noce; poi, invece, dopo numerosi tentativi, si è rivelato un abbinamento di tutto rispetto e adatto alle migliori occasioni.
Gli ingredienti principali sono carne di suino al 100 %, gherigli di Noci del Bleggio, sale e aromi naturali, che dopo un buon impasto vengono insaccati in budella naturali di manzo e fatti stagionare in una cantina. Qui, ancora una volta, è l’aria del Bleggio, tra le Dolomiti e il lago di Garda, a determinare l’unicità dei suoi prodotti, garantendo a questo salame un’esaltazione di sapori unici nel suo genere.

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