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Amari, piccola guida al nuovo bon ton

La Cucina Italiana

Fiori? Una buona etichetta? L’ultimo libro di successo? Di recente il mio regalo più indovinato per un invito a cena è stato un set di sei bicchierini da amaro in vetro molato. Erano l’ornamento delle credenze nelle case delle signorine Felicita gozzaniane e, tuttora, delle vecchie trattorie di provincia. Trovarli non è stato facile perché oggi sono tra gli oggetti più ricercati sui banchi dei mercatini. Ed è diventato un gioco elegante andare il fine settimana in quelli di provincia prima che arrivino a prezzi triplicati in città.

È un segnale del grande ritorno degli amari, adesso protagonisti di nuovi modi di pensarli, berli e offrirli. Una piccola rivoluzione provocata da un pubblico giovane che li ha riscoperti perché esprimono l’aspirazione a vivere e pensare in modo nuovo il territorio da cui provengono, la sua storia, il suo paesaggio. Sono almeno 150 le etichette note, ma, assicurano i barman, in Italia ogni campanile ha la sua. Piene di medaglie, di scenari, di vegetazione montana o marina, invitano a prendersi il proprio tempo, a respirare, a rallentare, a percorrere sentieri lunghi e faticosi anziché comode scorciatoie. Ecco allora una piccola guida al nuovo bon ton degli amari.

Aperitivo

L’aperitivo più amato, lo Spritz, si avvantaggia di una sfumatura corroborante sostituendo ai tradizionali Aperol e Campari un amaro. A casa, ma non solo, la scelta va accompagnata dal piccolo racconto del luogo d’origine e del suo universo vegetale. Calice a stelo, bel cubetto di ghiaccio, di qualità senza essere troppo impegnativa la bollicina. Per i classici 4‐5 centilitri, i gradi sono circa 15. Insieme: acciughe del Cantabrico su trancetti di pane grigliato spalmato di burro.

Dopocena

Si serve a fine pasto per sottolineare un momento di convivialità intima. Il suo significato rituale aumenta se l’amaro è fatto in casa seguendo collaudate ricette familiari. Dalle noci alla genziana. Per un servizio impeccabile i bicchierini d’antan, adatti ad accogliere circa 4‐5 centilitri. Vanno presentati su un vassoietto coperto da un centrino ricamato. Unica variante rispetto alla tradizione, è servirlo freddo. Insieme: cioccolato fondente.

In degustazione

Dopocena, invece del distillato. In base alla sua peculiarità ed eccellenza, può essere servito con o senza cubetto di ghiaccio. Senz’altro liscio un amaro invecchiato in botti di rovere di Slavonia per anni, che merita di essere sorseggiato con concentrazione per invogliare alla ricerca delle erbe, delle radici, delle cortecce che lo compongono. Canonico il bicchiere cilindrico o tronco conico. Insieme: niente!

Miscelato

I bartender cavalcano nuove interpretazioni di grandi cocktail classici sostituendo amari di carattere ai distillati. Dal Moscow Mule al Gin Sour. Con templi dedicati. A New York: Amor Y Amargo; a Roma: Amaro Lobby Bar & Lounge. Il vantaggio, oltre al profilo gustativo originale, è che la gradazione alcolica si aggira sui 30 gradi anziché sui 40‐45. Ogni preparazione esige il bicchiere tradizionalmente dedicato e un rametto di una delle erbe aromatiche che compongono l’amaro. Insieme, tartine di consistenza morbida: avocado con una punta di salmone o di bottarga o con un boccone di ceviche.

Dissetante

In piscina, dopo la partita di tennis, in alta quota dopo una camminata. Qui gioca benissimo la versione leggera che può andare dall’abbinamento con un’acqua minerale molto frizzante fino a scelte sofisticate. Per esempio: un amaro agrumato calabrese o siciliano, un’acqua tonica mediterranea, uno splash di succo di pompelmo, la sua scorzetta. Insieme: niente!

In pairing

Abbinare un amaro a una delle portate di una cena non è facile. O meglio: per i dolci le nozze col cioccolato sono una garanzia. Ma per il resto? Eccellente: melanzane al forno o alla griglia con aglietto e scorza di limone. Facile: una frittata farcita di erbe amare, dall’ortica alla cicoria. Audace: risotto, mela e peperone verde.

Amari Calabresi: i migliori del mondo

Amari Calabresi: i migliori del mondo

Se l’Italia fosse un liquori, sarebbero gli amari. Gli amari sono infatti i liquori identitari della cultura italiana e l’amaro è il gusto che più rappresenta la nostra cucina. Dai vini aromatizzati con erbe e spezie degli antichi romani fino ai monaci medievali e poi ai bitter come il Campari, amaro è una parola italiana che non viene neppure tradotta all’estero e che descrive una peculiare tipologia di liquori alle erbe. Li beviamo in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti: «La tradizione europea di fare liquori agrodolci, chiamati amari in italiano, esiste da secoli. Ma è solo di recente che questi digestivi erbacei sono passati dal retro di bar polverosi al centro della scena negli Stati Uniti e sono diventati un ingrediente chiave nelle liste dei cocktail nei migliori bar e ristoranti del paese», scrive Brad Thomas Parsons nel best seller Amaro: The Spirited World of Bittersweet, Herbal Liqueurs with Cocktails, Recipes, and Formulas

Il ritorno al gusto italiano

L’Italia ha una propria geografia di amari: ci sono gli amari di montagna, quelli dei Carabinieri, della Polizia, dei monaci e quelli dei ciclisti. Quelli che permettono di assaporare il gusto pieno della vita e quelli che non sai perché perché perché non bevevi prima, come Raz Degan nel celebre spot degli anni Novanta. Ma se si dovesse dire oggi la regione regina degli amari, questa sarebbe senza dubbio la Calabria, patria dell’amaro più bevuto in Italia e di un rinascimento di micro produzioni e nuove bottiglie. «In Italia, tutta la crescita del comparto Amari è trainata da Vecchio Amaro del Capo come dimostrano in modo inconfutabile i dati ufficiali», aveva dichiarato Caffo in occasione del Vinitaly 2022 facendo riferimento al primato che vuole l’etichetta di punta della Distilleria F.lli Caffo coprire il 35% delle vendite degli amari al supermercato. Nel 2021, secondo i dati IRI, l’intero segmento Amari cresce del 6,7%, trainato proprio dal +12.2%. C’è in atto un revival dei liquori vintage e di bottiglie appannaggio dei salotti della nonna che oggi sono al centro di un rilancio commerciale e di consumi di liquori a base di liquirizia, anice, amaretto e sambuc; e, giurano gli analisti, non è colpa (o mertito) del lockdown, bensì di un ritorno al gusto italiano di un tempo.

Gli specialisti degli amari

La storia di Caffo comincia in Sicilia, alle pendici dell’Etna, come produttori di liquori ottenuti da antiche ricette e oggi dopo un secolo si confermano gli specialisti degli amari e detengono il 40% (dato Iri Infoscan) dei consumi degli amari in Italia. Merito dell’Amaro del Capo, che deve il nome a una località poco distante dalla sede della distilleria, Capo Vaticano. A Limbadi in Calabria Caffo ha il più grande stabilimento per la produzione di alcolici del meridione. Ma Caffo ha anche acquisito marchi storici come l’olandese Petrus Boonekamp, Ferro China Bisleri, liquore usato per la malaria e l’anemia, l’Elisir S.Marzano Borsci, Specialità Orientale, insieme all’aquila bicipite, simbolo dell’Albania, patria di origine della famiglia Borsci prima di trasferirsi in Puglia, e l’ultima sfida, il ligure Amaro di Santa Maria al Monte. Tradizione e innovazione, perché la nuova Red Hot Edition di Amaro del Capo, piccante, vola con un +1238% raggiungendo, in un anno circa, il quattordicesimo posto nella classifica nazionale degli amari.

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7 cocktail per svuotare le bottiglie dimenticate

Biodiversità e monachesimo

Se Amaro del Capo sta tirando un intero settore, la storia degli amari in Calabria è ben più radicata, strettamente connessa alle tinture medicinali prodotti dai monaci nei monasteri e dai primi farmacisti quando la scienza era solo quella erboristica. Perché in Calabria c’è questa tradizione così radicata? L’ho chiesto al botanico, etnobotanicocalabrese Carmine Lupia, consulente per il foraging nelle cucine del Praia Art Resort di Capo Rizzuto e come consulente botanico dalle distillerie. «C’è una sovrapposizione di ragioni. La Calabria è una terra con una grande biodiversità e con una grande tradizione storico culturale dovuta alla presenza del monachesimo orientale, ossia quello proveniente dalla Siria, dalla Turchia, dalla Grecia e dal Nord Africa, e quella del monachesimo latino». Questi due fattori sono alla base del primato della Calabria come terra di amari. «La Calabria ha una grande biodiversità: è stretta è lunga, ha due mari, montagne alte duemila metri, spiagge; ma soprattuto in una regione condensa tutte le fasce fito-climatiche del pianeta. Si va dal palmetum, la fascia tropicale, fino al faggetum e poi all’alpinetum proprio dei territori polari e dell’alta montagna». Si va quindi dal microclima tropicale umido fino ai boschi di sempreverdi, e le erbe che si possono raccogliere sono moltissime. Ma non solo: è ricca di piante endemiche, esclusive di queste terre, il che rende possibile fare amari molto diversi da quelli delle altre regioni.

Il rilancio degli amari: freddi e miscelati

Gli amari tornano in auge, ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa: infatti se le formule antiche restano sempre le stesse, cambiano le modalità di consumo e di servizio. Meno bar e partite a briscola e invece temperature gelide e miscelazione. L’Amaro del Capo si è imposto sul mercato servito a una temperatura ghiacciata, dal freezer, e per stimolare i consumi e la diffusione si guarda alla miscelazione. Si è svolta a luglio 2022 la prima edizione dell’evento “Amara Calabria” che si è tenuto a Reggio Calabria al Piro Piro, lido tra i più belli del Sud Italia sul lungomare Falcomatà. «L’Amaro Silano ha più di 150 anni , è dal 1884 che l’Amaro Calabrisella tramanda una ricetta benedettina, la Tedesco Liquori è un marchio che esiste e resiste dal 1908 mentre risale al 1915 la nascita del Gruppo Caffo e, ancora, l’Azienda Moliterno dal 1938 perpetua il lavoro delle Reali Distillerie Borboniche. E questi sono solo degli esempi», mi spiega Giovanna Pizzi, che ha ideato l’iniziativa. «Prima che siano gli altri, fuori dai confini regionali, ad accorgersene e comunicarlo, si è deciso di focalizzare questa tendenza produttiva, quella degli amari in Calabria, organizzando un contest che rendesse giustizia a una tradizione che affonda le radici nei secoli scorsi e che negli ultimi anni sta rivivendo una sorta di nuova giovinezza», spiega la promotrice del concorso. «Sapori in grado di stupire, grazie all’infinita tipologia di erbe officinali, agrumi unici, spezie, semi e radici, appunto, che permettono di comporre ricette fantastiche e mai banali». 
Davanti a una giuria di esperti si sono sfidati venti bartender: vincitore Valerio Cutellè con il drink Trigulu a base di rum Sailor Jerry, Amaro del Capo, una banana in osmosi col pimento e gassosa al caffè (altro prodotto tipico calabrese). «È in vero e proprio fenomeno quello della produzione degli amari in Calabria che ha visto negli ultimi anni nascere decine di aziende, piccole, medie o grandi che siano, che hanno affiancato quelle storiche che raccolgono l’eredità delle produzioni del Regno Borbonico o le ricette delle abbazie dei monaci o quelle delle antiche farmacie».

Sfatiamo un mito: non sono digestivi

Gli amari sono ottimi da bere, ma non fanno bene. L’Amaro Partigiano fa digerire tutto meno i fascisti? La leggenda che li vuole digestivi purtroppo non è realtà. Al contrario: l’alcol è un potente irritante per lo stomaco, e, parlando di erbe, genziana, tarassaco, achillea e altri ingredienti che spesso si trovano negli amari hanno effettivamente proprietà digestive, ma andrebbero assunte prima dei pasti, non dopo. Per digerire, i consigli degli esperti dicono meglio evitare alcolici o bibite gassate e meglio invece fare una passeggiata. In quanto a tisane, però, proprio un marchio storico come quello dell’amaro Bisleri firma oggi una linea di bibite con agrumi di Calabria, acque toniche a base di china e sei diversi tipi di tisane alle erbe, fra cui quella (davvero) digestiva.

Una selezione di bottiglie, pluripremiate, di amari calabri

Tortelli amari di Castel Goffredo, storia e ricetta di un piatto unico

Tortelli amari di Castel Goffredo, storia e ricetta di un piatto unico

I tortelli amari sono un piatto tipico di Castel Goffredo, in provincia di Mantova. Si chiamano così per via della particolare erba che si mette nel ripieno

La tradizione culinaria italiana è così ricca che, a volte, si trovano ricette che non superano i confini di un Comune. È questo il caso dei tortelli amari di Castel Goffredo, un piatto antico e molto “cucinato” dai castellani, ma fino poco tempo fa non molto conosciuto al di fuori delle mura domestiche. La storia recente di questo piccolo paese della provincia mantovana è legata a doppio filo a quella delle calze. Ancora oggi, buona parte dei filati e dei collant che ricoprono le gambe di migliaia di donne arrivano proprio da qua. La dimensione industriale è però relegata alla periferia. Attraversando le viuzze del centro storico, dalle bocche dei suoi abitanti e dai menu delle sue trattorie, ci si accorge che a dominare la scena è piuttosto questa particolare pasta ripiena.

Tortelli amari, l’origine del nome

Si chiamano così per la presenza nel ripieno dell’erba di San Pietro, comunemente nota anche come “erba amara”. Il nome scientifico è Balsamita major, fiorisce intorno alla fine di giugno, quando cade la ricorrenza del Santo (29 giugno). La pianta fa parte della famiglia delle mente aromatiche-balsamiche e ha, come si sarà intuito, un piacevole retrogusto amaro. La ricetta è stata tramandata di generazione in generazione, ma per lo più oralmente. Di letteratura a riguardo ce n’è davvero poca, a parte qualche ricettario conservato nelle credenze delle massaie più anziane che, assicurano, in casa loro questi tortelli si sono sempre fatti.

Dalla zucca all’erba amara il passo è breve

Nella non lontana Mantova la sfoglia la riempiono di zucca e i loro tortelli sono famosi in tutta Italia. Qui, a Castel Goffredo, invece ci mettono questa particolare erba che cresce ancora oggi spontanea nei giardini e negli orti delle case. L’idea di sostituire la cucurbitacea con la pianta aromatica deve essere venuta a qualche massaia che, in tempi di magra, con il poco che aveva, si sarà ingegnata a creare un nuovo piatto. La fama non è paragonabile a quella dei tortelli mantovani, ma ultimamente anche i tortelli amari stanno iniziando a uscire allo scoperto.

Nella ricetta “pubblica” tutti gli ingredienti

Solo alcune delle “risidure” (termine dialettale per definire le donne che gestiscono la casa) conoscono la ricetta originale, che mantengono però gelosamente segreta per riservare il piatto verace ad amici e parenti. Quella di seguito è la versione pubblica. Per la sfoglia occorrono 300 grammi di farina 00, tre uova e un tuorlo. Gli ingredienti per il ripieno sono: 600 grammi di erbette, 80 grammi di burro, 50 grammi di salvia, un uovo, una cipolla, uno spicchio d’aglio, 20 foglie di erba amara, 40 grammi di pane grattugiato, 80 grammi di grana padano, pepe sale e noce moscata.

Ecco come si prepara il ripieno

Per prima cosa pulire e sbollentare le erbette in acqua salata. Poi scolarle, cercando di eliminare tutto il liquido in eccesso, e tagliarle – non troppo fini – con il coltello. Soffriggere nel burro la salvia, la cipolla e l’aglio. Una volta insaporite anche le erbette unirle in una ciotola con le uova, il grana padano, il pane grattugiato, la salvia, la cipolla e l’aglio, la noce moscata, il pepe e il sale. Amalgamare il tutto e in ultimo aggiungere l’erba amara tritata cruda. Preparare la sfoglia di pasta all’uovo tagliata a quadratini, farcire con un cucchiaino di ripieno e piegare a triangolo. Cuocere in acqua salata e servire con una spolverata di buon formaggio grattugiato e un cucchiaio di burro fuso e salvia croccante.

Alla Festa del Tortello Amaro di Castel Goffredo per magiare quelli veri

I forestieri hanno un’unica chance per poter assaporare quelli veramente originali ed è la Festa del Tortello Amaro, quest’anno in programma dal 13 al 16 giugno al Parco la Fontanella. In quest’occasione saranno le massaie in persona a mettersi all’opera, offrendo a chi non è del posto la possibilità di assaggiare i veri Tortelli Amari di Castel Goffredo oppure i Tortelli Amarissi, «proprio come piacciono ai castellani». Anche il resto del menu sarà tutto a base di piatti cucinati con quest’erba: brasato di coppa di maiale con polenta amara, polenta amara con formaggio straccone, Amarburgher con patatine, torta del Buon Umore, Gelato Amaro e GranitinAmara. Per chi invece non riuscisse ad andare alla festa può sempre provarli in alcuni ristoranti del paese, come La Viola, La Pialla, Il Roccolo, oppure nei paesi limitrofi come al Selvole che si trova nell’omonima frazione, alla trattoria Da Laura nella frazione Perosso, all’Agriturismo San Lorenzo nella frazione di Casalpoglio.

Ricerche frequenti:

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