La ricetta del barbajuan, i ravioli fritti alla ligure

La ricetta del barbajuan, i ravioli fritti alla ligure

Barbajuan o barbagianni, c’è la Liguria, la Costa Azzurra, la Provenza in questo buonissimo raviolo fritto che lo chef Luigi Taglienti, una stella Michelin, propone in apertura del suo menu dedicato alla cucina italiana «della memoria ». Ecco la ricetta servita al Lume di Milano.

La leggenda dice che dobbiamo la nascita del barbajuan a un certo signor Jean, evidentemente al di là della frontiera di Ventimiglia e probabilmente provenzale. Ravioli che in mancanza di salsa, decise di friggere per la gioia dei commensali: furono loro a trovare il nome del nuovo piatto, Barba Juan, ossia zio Jean in monegasco.  Guarda caso ‘U’ barba’ è sinonimo dello ‘zio’ anche in ligure, non per forza di sangue ma in omaggio alla sua saggezza. E’ evidente che si tratta di un raviolo transnazionale e transregionale, che viene cucinato a casa, nelle trattorie e persino nel più famoso ristorante di Montecarlo: il tristellato Hotel de Paris. Ovviamente non ha una ricetta codificata, soli elementi in comune sono la farina per l’impasto e la frittura in olio d’oliva. Sul ripieno ci si sbizzarisce, in definitiva: Alain Ducasse per esempio lo prepara unendo cipolle bianche sbucciate, porriporri verdi, foglie di spinaci, ricotta, parmigiano grattugiato e un paio di uova.

Di Lemone – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3761015

Stellati, come aperitivo

A recuperare – orgogliosamente – il barbajuan in Italia non poteva che essere Luigi Taglienti: il più ligure-moderno tra i cuochi italiani (ma anche uno dei più ‘francesi’, visto che la cucina del Ponente e quella della Costa Azzurra hanno un mare di punti in comune), mai così attento al recupero della tradizione regionale e italiano in generale. Non stupisce vedere questo ‘raviolo’ così particolare in apertura del degustazione ‘Taglienti racconta Taglienti’, impostato interamente sulla sua visione di molte ricette della memoria. «Ho scoperto il barbajuan quando lavoravo in gioventù nelle mia zona – spiega lo chef – e li vedevo serviti, già pronti, all’aperitivo. Era l’espressione della vera cucina ligure, quell’entroterra, ed erano caratteristici della Val Nervia, guardacaso al confine con la Francia. Trovarli anche nei locali di Mentone era normale»

Non è più tempo di brussu (un formaggio)

Il punto debole (o forte, al tempo stesso) è la presenza del brussu nel ripieno del barbajuan originale: si tratta di un formaggio tipica della cultura contadina ligure e piemontese, in particolare delle zone più povere. Anticamente veniva prodotto facendo fermentare croste o pezzi di altri formaggi (spesso anche ammuffiti) nel distillato di vinacce che i contadini producevano in proprio. Oggi si ricava dal latte di pecora o di capra, con tecnica diverse, ma resta un prodotto cremoso dal sapore intenso. «Troppo per iniziare un pranzo o una cena, quindi l’ho sostituito con cibi più leggeri e di maggiore delicatezza – dice Taglienti – seguendo il mio concetto di non perdere la tradizione ma servirla con eleganza, in un percorso volto a esaltare la nostra cucina storica»

La ricetta dello chef

La sua ricetta – per 4 persone – prevede per l’impasto 220 g di farina, 10 g di acqua, 10 g di olio, 5 g di vino Lumassina, 2 g sale. Lo si lascia riposare in frigorifero per almeno quattro ore. Per il ripieno che deve essere omogeneo, si lavorano  100 g di zucca, 20 g di burro, 10 g di mostarda di chinotto, 10 g di riso bollito e della maggiorana. «La pasta va tirata molto sottile, poi dopo averla farcita si ricavano dei piccoli ravioli del diametro di 3 cm. Si frigge in abbondante olio e una volta scolati, si possono servire» spiega lo chef del Lume. Con una grande bollicina, italiana e francese, mettono subito di buon umore.

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