Il mistero della penna liscia al tempo del Coronavirus

Il mistero della penna liscia al tempo del Coronavirus

Vituperate e offese, abbandonate nei supermercati, in realtà sono tra le più amate dagli italiani

Queste righe che leggete sono una difesa strenua, decisa e potente delle penne liscia, degna di Alicia Florrick o di Harvey Specter nei loro più televisivi momenti.
Ho visto con orrore i social accusatori, quegli scaffali vuoti salvo loro, le uniche superstiti, o abbandonate: le penne lisce, appunto.
Scusate: ma perché non vi piacciono?
Sono morbide, delicate, acchiappano il sugo con delicata disinvoltura, s’impossessano del nostro palato accarezzandolo, baciano il burro con l’eleganza di una geisha mentre suona lo shamisen, si accomodano con morbida gentilezza negli angoli remoti del nostro cavo orale…
E voi? Voi che correte al supermercato come se stesse per finire il mondo, me le lasciate lì?

Una cosa, questa, per me inspiegabile. Io, che ho passato anni a cercarle quando abitavo all’estero, proprio non posso capire. Cosa hanno di meglio tutte le altre paste da far snobbare le penne come fossero delle appestate?
Protagoniste della Norma, eccellenti con il classico salmone vodka, perfette in una teglia da forno con i pomodori… Insomma, di ricette, nelle nostre pagine di “La Cucina Italiana”, ne abbiamo pubblicate tantissime.

Sono giunta a questa conclusione: il problema della penne lisce è tutto milanese e io, fino a queste prove tecniche di apocalisse, non me ne ero mai accorta. E allora adesso mi sorge un dubbio: ma quanti ospiti alla mia tavola avranno finto amore per la mia pasta preferita senza rivelare il minimo segno di disappunto?

«Continuo a guardare questa foto fatta prima al supermercato e penso al fatto che il grande sconfitto da questo virus sono le penne lisce che agli italiani fanno ca**re pure quando sono presi dal panico e si preparano all’apocalisse» (foto twitter.com/diodeglizilla).
«Continuo a guardare questa foto fatta prima al supermercato e penso al fatto che il grande sconfitto da questo virus sono le penne lisce che agli italiani fanno ca**re pure quando sono presi dal panico e si preparano all’apocalisse» (foto twitter.com/diodeglizilla).

Per fortuna c’è il Sud a darmi gustose soddisfazioni. Sì, perché è qui che si vendono un terzo delle penne lisce d’Italia. Parliamo di un totale di 2,5 milioni di tonnellate, dove Barilla è al primo posto con una quota del 31%. Ma la leggenda narra che il primo pastificio a proporle sia stato Voiello, e la storia vuole che la penna lisce sia la mamma di tutte le altre penne, venute solo in un secondo tempo, come le rigate. E se non fosse così, e io voglio credere che così sia, come si spiegherebbero a Napoli quelle deliziose penne alla sciaguratella con pomodoro, burro, aglio, olio extravergine d’oliva, peperoncino, basilico e panna?

E poi ci sono altri numeri che ci fanno capire l’ingiustizia di quell’abbandono sugli scaffali dei supermercati milanesi: l’importante quota di mercato che occupa De Cecco, che si aggira attorno al 15% del totale. Segue, poi, con volumi minori, Pasta Rummo: qui le penne sono solidamente piazzate al 13° posto tra spaghettoni e bucatini, con 1.4% del mercato contro gli spaghetti campioni.

E comunque, a scanso di equivoci, la Doxa rivela che le penne sono sul podio nella classifica della pasta corta per tutti gli italiani (include anche la rigata, ma vabbè).

E allora stasera per cena penne… rigorosamente lisce!

 

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