Come friggere bene per star bene

Come friggere bene per star bene

Nessuno resiste a una bella frittura. A quella doratura croccante che racchiude gli aromi come uno scrigno. Che però fa male. O meglio: fa male se si mangia troppo spesso. E se non si seguono alcune semplici regole. Eccole

Davanti a un bel fritto gli occhi si illuminano, le papille gustative si agitano e lo stomaco a qualunque ora e condizione manda messaggi di ampia disponibilità. Non c’è dubbio: le fritture in tavola hanno una marcia in più, che le colloca ai vertici delle preferenze di bimbi e adulti. Ma non sempre sono leggere e digeribili, al punto che i nutrizionisti più intransigenti le vorrebbero completamente bandite dal menu. Con alcune attenzioni in cucina e un po’ di moderazione nel consumo non è però necessario essere tanto drastici.

Ma perché i fritti sono così buoni?

Il segreto è semplice ed è tutto nel fatto che, rispetto alla cottura in acqua, la frittura avviene a temperature molto più alte, superiori ai 160 °C. Il calore elevato provoca due fenomeni importanti: avvia una serie di reazioni chimiche che producono sostanze particolarmente saporite, e determina la formazione di una crosticina superficiale sul cibo che trattiene all’interno tutte le componenti aromatiche, impedendone la fuoriuscita e la dispersione.

Punto di fumo, allarme rosso!

Purtroppo il grasso usato per la cottura, che permettendo di cuocere ad alta temperatura determina il pregio gastronomico dei fritti, è anche alla base dei loro difetti. Per prima cosa i residui di olio assorbiti dal cibo ne aumentano considerevolmente l’apporto calorico: 1 grammo di olio fornisce ben 9 kcal. In secondo luogo i grassi subiscono delle profonde modificazioni con il riscaldamento: dapprima si formano composti poco digeribili (polimeri) che poi, raggiunta la temperatura a cui l’olio comincia a fumare (il cosiddetto “punto di fumo”), si decompongono nei loro costituenti fondamentali, sviluppando una sostanza acre e irritante (acroleina) che si volatilizza lasciando a contatto col cibo degli acidi grassi liberi dei quali è accertata la potenziale nocività.

L’olio extravergine batte tutti

La resistenza al calore varia da un grasso all’altro secondo la composizione chimica e la prima cosa da fare per ottenere un fritto leggero è orientarsi sui grassi che resistono di più. Contrariamente a quanto molti credono, la scelta migliore è l’olio extravergine d’oliva: non solo contiene grassi di tipo monoinsaturo, più resistenti, ma è anche ricco di sostanze antiossidanti che proteggono l’olio dagli effetti negativi del calore. Se il gusto dell’extravergine disturba il palato, si può ricorrere senza problemi al normale olio d’oliva, eventualmente miscelandolo con dell’olio di arachide. Tra tutti gli oli di semi quello di arachide è il più simile nella composizione all’olio d’oliva e il più resistente al calore. Da qualche anno, ormai, sono presenti sul mercato alcuni grassi appositamente realizzati per la frittura. In realtà, sono pensati più con la mente del buongustaio che con un’attenzione salutista: permettono di ottenere fritti croccanti ma hanno una composizione meno sana dell’olio d’oliva.

Tempi e temperature, un gioco di equilibrio

Il calore non deve mai essere tale da far fumare il grasso: se un fritto si presenta bruciato all’esterno e crudo dentro, significa che si è scaldato troppo il grasso e ciò produce una disidratazione violenta degli alimenti. Viceversa, se il fritto è poco croccante significa che il grasso è troppo freddo. Anche i tempi di cottura sono importanti e cambiano per ogni alimento. Gli alimenti allo stato naturale devono friggere più a lungo e a temperatura non elevatissima per cuocere in modo omogeneo. Se invece vengono precedentemente impanati, la frittura deve essere rapida e a fuoco alto perché l’impanatura possa rapprendersi velocemente senza sfaldarsi.

Proteine e amidi per una croccantezza garantita

Perché si formi una bella crosticina occorre la contemporanea presenza di proteine e amidi. Per questo nella maggior parte dei casi il cibo va preparato con un rivestimento che contenga amidi (con particolare eccezione per le patate, che di amidi sono naturalmente ricche). Il rivestimento può essere una semplice infarinatura (nel caso di pesciolini, dopo averli lavati nel latte), mentre per verdure e frutta si può ricorrere a un’impastellatura di uova, farina e latte (o acqua), oppure si può effettuare la tipica impanatura (farina, poi uovo e pangrattato) per le costolette o i pesci più grandi. I rivestimenti, comunque, non devono essere troppo abbondanti, devono aderire bene al cibo e l’eccedenza va scossa via per evitare che si stacchi e bruci nell’olio. Ma attenzione: anche se preparato nel migliore dei modi, un fritto è pur sempre un fritto: una volta alla settimana può entrare nella dieta, ma avendo cura di non foto Riccardo Lettieri. Illustrazione Karin Kellner/2DM esagerare con le porzioni.

di Giorgio Donegani

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