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Salento, non solo pasticciotto: i dolci tipici da assaggiare

La Cucina Italiana

Non potete andare via del Salento senza aver assaggiato la cotognata, la marmellata ricavata dalle mele cotogne. Non si usa solo per farcire i dolci, ma si mangia anche da sola, a pezzetti, ed è una meraviglia. Quella di La Cotognata Leccese ha un sapore che non dimentichi, anche perché si assaggia in un posto storico che ha scritto pagine della tradizione e della cultura locale, in pieno centro città. Merito di Oronzo De Matteis, Cavaliere del Lavoro, ora ottantenne, e dei suoi figli che con la stessa dedizione creano piccoli capolavori. Oltre alla cotognata, perdersi nei loro bon bon (i confettoni sono un altro must) è uno dei piaceri più dolci da provare nel Salento.

La pasta di mandorle del Caffè Stella (a Martano)

Foto Facebook Caffè Stella.

Difficile non trovare una buona pasta di mandorle nel Salento, ma non c’è dubbio che il Caffè Stella di Martano sia fra i migliori posti per assaggiarla. È considerato uno dei pochi in cui ancora si mangia l’originale pasticceria salentina, e a ragione. I dolcetti tipici di mandorla ci sono tutti e quando li assaggi ti rendi subito conto che sono fatti con mandorle di altissima qualità e grande maestria. E non solo quelli: il Caffè Stella si sta facendo notare anche per i suoi ottimi lievitati. 

Le monachine del Bar Fracasso (Maglie)

Non solo cornetti (perché le brioche anche nel Salento – come in Sicilia – sono solo quelle del gelato): a colazione qui mangiamo anche le monachine: impasto sfogliato ripieno di crema, marmellata, confetture e – nel caso del celebre bar Fracasso di Maglie – anche pistacchio e tante altre golose farciture. È una delle tante dolcezze di questo storico bar, che vale il viaggio per diversi ottimi assaggi, anche salati.

consigli utili per apprezzare la tradizione | La Cucina Italiana

consigli utili per apprezzare la tradizione
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Pare che la parola caffè venga da Kaffa, la regione dell’Etiopia in cui venne elaborata la prima bevanda ottenuta dalla lavorazione del chicco. Ma quello che lega Napoli al mondo che ruota intorno alla tazzina è qualcosa che affonda le radici nella cultura e nelle tradizioni, partendo dalle cucine di casa per arrivare al teatro e alla musica.
Tutti in passato, a Napoli, compravano il caffè crudo, per poi tostarlo in maniera casalinga. Ogni famiglia, così, aveva il suo personale caffè, unico e diverso da tutti gli altri.

Ma quali sono le regole per bere un buon caffè?

Quando si parla genericamente di caffè, in Italia ci si riferisce prevalentemente all’espresso, quello stesso espresso che gli Italiani nel mondo non smettono di cercare.

Ma quali sono le regole per gustare un buon caffè espresso?

La tazzina, innanzitutto, deve avere una temperatura che si aggiri intorno ai 45 gradi. Questo permette al caffè di non raffreddarsi (è importante, infatti, che venga bevuto caldo) e allo stesso tempo di mantenere inalterate le proprietà organolettiche. Per questo stesso motivo andrebbe consumato entro un minuto, massimo un minuto e mezzo, confermando l’abitudine italiana di bere il caffè al banco “al volo”.
La tazzina va sempre posata sul piattino e deve essere accompagnata da un cucchiaino. Anche per chi beve il caffè amaro. Il motivo è presto detto: contrariamento a quanto si pensi, il cucchiaino non serve a far sciogliere lo zucchero, ma a “unire” la parte cremosa del caffè a quella liquida. Non prima, però, di averla “osservata”. La degustazione del caffè, infatti, come ricorda la coffelier di Lavazza, Stefania Zecchi, inizia proprio dall’osservazione della bevanda. «Per degustare il caffè espresso mettiamo in campo tutti e 5 i sensi, partendo dalla vista. La crema deve risultare elastica, persistente e consistente, dal color nocciola. A questo punto la muoviamo col cucchiaino, e deve tornare in posizione iniziale, muovendosi come fosse di seta e non creando un tappo». Piccoli accorgimenti che tutti possiamo adottare, affinando le nostre capacità di “degustatori di caffè”.
Il primo assaggio si fa senza respirare, di modo da cogliere l’amarezza, la dolcezza e l’acidità. In un secondo momento si libera l’olfatto, ed è qui che, nell’incontro tra armoni e sapori, si scompongono le note del caffè.
Sembra difficile? Questione di allenamento! E per preparare il palato alla degustazione, meglio accompagnare sempre il caffè a un bicchiere d’acqua, da bere rigorosamente prima.

Le tecniche, ma anche le esperienze, la creatività e tutto il mondo che vive dentro e intorno alla tazzina, sono protagonisti di The Blender, il primo digital magazine italiano interamente dedicato alla passione per il caffè, firmato da Lavazza e recentemente presentato a Napoli.

Il caffè a Napoli, fra rituali, indirizzi tradizionali e nuove aperture

Qualcosa, però, sta lentamente cambiando, complice anche una diffusione più ampia della cultura di questa bevanda, che può essere molto di più di un espresso bevuto al banco. Guglielmo Campajola, patron del Gran Caffè La Caffettiera di Napoli, racconta di come il “Napoletano DOC” non manchi di accompagnare al caffè, la sfogliatella. Ma dal suo privilegiato osservatorio (il Gran Caffè è aperto da oltre 40 anni) nota anche come il momento del caffè stia diventando un momento di vera pausa, complice anche una diversificazione delle proposte, sia in termini di miscele che di preparazioni. «Personalmente penso che il caffè sia una bevanda da meditazione, per questo lavoriamo di modo che la nostra clientela possa apprezzare sempre di più la possibilità di consumarlo seduta, per apprezzarlo davvero».
Non è un caso che qui il caffè sia proposto in più declinazioni: da quello preparato nella caffettiera Napoletana, servita con il “pipitiello” (il cornetto che ne preserva l’aroma) a quelli sotto forma di cocktail.
Tra i clienti affezionati, vi potrebbe capitare di incontrare qui Matteo Paolillo, uno dei protagonisti di Mare fuori. Salernitano di nascita e napoletano d’adozione, ha abitato proprio vicino al Garn Caffè La Caffettiera. Il suo caffè? Amaro, come vuole la tradizione.

Per scoprire altri caffè storici leggete il nostro articolo: Caffè storici di Napoli, passato e presente di un rito intramontabile.

Nella nuova sede delle Gallerie d’Italia, la ricca offerta di food & beverage prevede anche una ricca scelta per gli appassionati di colazioni e merende con il Luminist Café, dove scegliere tra il più tradizionale espresso e i caffè specialty, tra chemez cold brew e filtrati. L’accompagnamento è quello inusuale (per Napoli) dei croissant francesi, da farcire sul momento a richiesta.

Ma non di soli caffè in tazzina si vive a Napoli: per chi volesse provare anche le declinazioni alcoliche del caffè, l’indirizzo da non perdere in città è quello di L’Antiquario, cocktail bar dallo stile rétro premiato dalla classifica World’s 50 Best Bars insieme a soli altri due indirizzi in Italia. Sorto nel 2015 sulle ceneri di un negozio di antiquariato, il locale propone, tra gli altri, il cocktail Gianni, a base di cognac, latte di mandorla, Grand Marnier, espresso preparato con miscela La Reserva de iTierra! Colombia di Lavazza e Bitter Campari.

E per chi rimane insonne, c’è una Napoli che rimane sempre sveglia e brulicante di novità.

Alberto Gipponi, lo chef che ricomincia da acqua e farina

La Cucina Italiana

Alberto Gipponi, classe 1980, laureato in sociologia, cambia vita quando decide di dedicarsi alla sua vera passione, la cucina. Colleziona esperienze nell’alta ristorazione lavorando con Joe Bastianich, Nadia Vincenzi, Georges Blanc e Massimo Bottura. Apre il ristorante Dina a Gussago, in Franciacorta, nel 2017, e Delia, gastronomia con enoteca, a Brescia, nel 2021. Gippo, come si fa amichevolmente chiamare, arriva nella nostra cucina sorridente e pronto a regalarci un viaggio nei labirinti del sapore, con ricette dove la pasta è protagonista essenziale ma silenziosa.

Costruire la memoria

«Il gusto ha a che fare con la memoria, perciò mi piace creare piatti che partano dai riferimenti che tutti abbiamo, ma che contengano poi anche qualcosa di profondo, oltre l’usuale». Assaggiando i piatti di questo servizio si comprende bene: la salsa di ostriche cattura con la sua acidità stimolante, le fragole aggiungono complessità aromatica al pomodoro e basilico senza deludere, le seppie abbracciano la sapidità di un umami irresistibile per confessare poi la necessità di una nota balsamica soddisfatta dalla freschezza della menta. E la pasta, naturalmente, perché niente senza di lei avrebbe senso. Rivelazioni di abbinamenti che non ti aspetti, vivacità e apertura: Alberto Gipponi ci invita a giocare, a perderci e poi ritrovarci. «A volte una comprensione non immediata ci permette di andare un po’ più in profondità, di capire che dietro a quell’ingrediente o a quella consistenza per noi familiari, ci sono molte sfumature».

Siamo acqua e farina da Bolzano a Taormina

Chiediamo allo chef perché ha proposto un menù tutto a base di pasta. «“Mettere su un piatto di pasta” è qualcosa che fa parte di noi, è un gesto di ospitalità quando ti arriva a casa qualcuno di inaspettato, è l’importanza di mangiare qualcosa di buono e di sano anche se si ha poco tempo, è il senso di sedersi a tavola e fermarsi per qualche minuto. E poi acqua e farina sono due elementi fondanti della storia culinaria di tutta l’Italia, dalle paste di grano tenero e all’uovo del Nord a quelle di grano duro e trafilate al Sud. Credo che la bellezza della cucina stia nei passaggi di sapere da una mano all’altra, da un paese all’altro, da una regione all’altra. Un movimento che visto tutto assieme chiamiamo tradizione».

Tradizione e futuro

Il tradimento è ammesso solo se consapevole, e la tradizione va rivissuta col fascino della sorpresa. «Siamo legati alla gestualità di acqua e farina, il primo piatto è quello che ci caratterizza, ma mi auguro che la cucina italiana di domani prenda questo come punto di partenza e non di arrivo. Perché anche la nostalgia è un bel sentimento, purché non ci tolga la voglia di scoprire il futuro».

Ambiente uguale casa

«Ho un’attitudine zero spreco: l’uomo fa parte della natura, il rispetto del sistema mondo ha un ruolo importante, ma è poi l’impegno ad agire in modo responsabile nella quotidianità che fa la differenza. Come diceva Blaise Pascal, ciò che misura la virtù di un uomo non sono gli sforzi, ma la normalità».

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